Trump firma la guerra mondiale dei dazi: imposte nuove tariffe su 100 paesi

Dazi senza precedenti su quasi tutti i principali partner commerciali. Cina, Europa e Giappone

trump firma la guerra mondiale dei dazi imposte nuove tariffe su 100 paesi

Tariffe specifiche fino al 54% contro paesi come la Cina. L’Europa parla di “colpo all’economia mondiale”. Gli analisti avvertono: “Stiamo entrando in una nuova era di protezionismo.”

Il presidente Donald Trump ha firmato un ordine esecutivo che introduce una nuova e imponente ondata di tariffe commerciali su scala globale. La misura prevede un dazio base del 10% su tutte le importazioni negli Stati Uniti, con eccezioni limitate a Canada e Messico. Per i principali partner commerciali, però, le tariffe salgono in modo esponenziale: la Cina sarà soggetta a un’imposta del 34% (che si aggiunge a un precedente 20%), l’Unione Europea al 20%, il Giappone al 24% e l’India al 26%. Vietnam e Cambogia saranno colpiti da dazi rispettivamente del 46% e 49%.

Secondo la Casa Bianca, queste tariffe sono "reciproche" e servono a rispondere ai presunti squilibri nei rapporti commerciali bilaterali. L’algoritmo usato, rivelato solo dopo l’annuncio, calcola il dazio dividendo il deficit commerciale americano con ogni paese per il volume delle sue esportazioni negli USA, e dimezzando il risultato “per gentilezza”. Il risultato: dazi calcolati su base unilaterale e senza precedenti.

Le reazioni sono state immediate. L’Unione Europea ha parlato di "attacco frontale", con la presidente Ursula von der Leyen che ha dichiarato: “Colpire uno di noi significa colpirci tutti.” Anche la Cina ha annunciato contromisure, definendo le mosse americane “bullismo autodistruttivo”.

I mercati finanziari globali hanno reagito con violente perdite. In Asia, le borse hanno registrato cali superiori al 3% e il dollaro è scivolato. L’indice S&P 500 è crollato del 3% nei futures, mentre il Nasdaq ha perso il 13% rispetto ai picchi di dicembre. I prezzi dell’oro sono saliti del 19% nel primo trimestre, segnale che gli investitori si rifugiano in beni sicuri.

Particolarmente colpito il settore automobilistico. Dal 3 aprile sono entrate in vigore nuove tariffe del 25% su tutti i veicoli prodotti fuori dagli USA. Anche i ricambi auto importati saranno soggetti a dazi, con conseguenze sui prezzi di auto nuove, usate e sulle riparazioni. Impatti concreti si sono già visti: la Stellantis ha annunciato la chiusura temporanea di un impianto in Canada, citando le nuove tariffe come causa.

Le reazioni nel mondo industriale americano sono contrastanti. Mentre le associazioni della manifattura e della ristorazione criticano duramente l’iniziativa per l’aumento dei costi e l’effetto negativo sui consumatori, alcune lobby pro-tariffe, come l’American Iron and Steel Institute e il Southern Shrimp Alliance, hanno elogiato il provvedimento, considerandolo un atto a tutela del lavoro e della produzione nazionale.

Anche la cancellazione del sistema "de minimis" — che esentava dazi su prodotti importati di valore inferiore agli 800 dollari — rappresenta un colpo durissimo per le piattaforme di e-commerce, in particolare Shein e Temu, molto attive nell’import di beni a basso costo dalla Cina. Dal 2 maggio, tali prodotti saranno soggetti a un dazio del 30%, che salirà al 50% dopo il primo giugno.

Il provvedimento colpisce in modo trasversale non solo gli avversari geopolitici, ma anche storici alleati. Il Giappone e la Corea del Sud, entrambi stretti partner militari degli Stati Uniti, si trovano ora a dover gestire tensioni interne e pressioni esterne. In Corea, la misura è giunta nel pieno di una crisi istituzionale, aggravando l’instabilità. In Giappone, il governo ha avviato misure di sostegno straordinarie per le imprese colpite.

Nel Sud-Est asiatico, paesi come Vietnam e Cambogia, che negli ultimi anni avevano beneficiato del decoupling dalla Cina, si ritrovano ad affrontare dazi tra i più alti in assoluto. In America Latina, il presidente argentino Milei, notoriamente vicino a Trump, ha accolto con filosofia il dazio del 10% sul proprio paese, presentandolo come una “dimostrazione di amicizia.”

Gli Stati Uniti sembrano quindi aver imboccato un sentiero protezionista sempre più marcato, con la Casa Bianca che rivendica l’obiettivo di “riindustrializzare l’America” e ridurre la dipendenza dall’estero. Tuttavia, gli esperti temono un forte impatto sull’inflazione e sulla crescita economica interna. Alcuni economisti, come Nancy Lazar di Piper Sandler, hanno già rivisto al ribasso le previsioni per il secondo trimestre 2025, prevedendo una contrazione del PIL dell’1%.

A livello geopolitico, l’iniziativa di Trump rischia di cambiare l’ordine globale, minando la fiducia tra alleati e costringendo partner come l’UE a risposte dure. Sono attese contromisure su settori chiave come la tecnologia, il farmaceutico e i prodotti agricoli americani. Le trattative si preannunciano lunghe e complesse, con la possibilità di una spirale di ritorsioni.

Nel frattempo, la sensazione generale è che il mondo sia entrato in una nuova era di incertezza economica. Come ha affermato il direttore del Centro per l’Energia e la Sicurezza Economica, Emily Kilcrease: “Questa non è una strategia commerciale. È una rivoluzione silenziosa del commercio mondiale.”