“Campani bravissimi. In Campania si è realizzato il successo nel contenimento della diffusione epidemica in Italia. È un grande successo”. Parole che fanno chiarezza e che finalmente evidenziano il successo tutto campano della lotta al coronavirus. Non sono parole di un giornalista straniero, né un di neo-borbonico e né tantomeno di un meridionalista invasato. Sono le parole di Franco Locatelli, presidente del Consiglio Superiore di Sanità, lo stesso che ogni sera ci presenta quel bollettino di guerra della protezione civile. Le sue parole arrivano dopo il fango che in queste settimana è stato scaricato sul Sud, sulla Campania e su Napoli.
“Se il coronavirus arriva nel Mezzogiorno sarà un disastro” ripetevano con foga le televisioni e i giornali di tutta Italia nei primi giorni del contagio. E mentre la situazione continuava a essere fuori controllo in Lombardia, Veneto, Piemonte ed Emilia-Romagna, si mostravano i tanti buchi neri della sanità meridionale. Il racconto era lo stesso di sempre, quello che risponde ad un tic culturale tipico del giornalismo italiano. Nel nostro meridione non ci sono gli ospedali, le persone vivono accalcate non rispettano le file in tempo di pace, figurarsi i tempo di pandemia. Ci saranno gli assalti ai supermercati, la camorra, la mafia e le altra organizzazioni criminali sono gli unici poteri del sud e si espanderanno come mai prima d’ora. I tanti che lavorano a nero si butteranno in strada a delinquere.
Le cose però sono andate in maniera totalmente diversa e quei racconti e quei filmati già pronti sulla tragedia di un Sud incapace oggi cozzano con una realtà di efficienza.
Ma anche davanti alla realtà delle cose che mostrava un successo indiscutibile del Sud il racconto non è cambiato.
“Al Nord più morti perché più ligi al lavoro” aveva detto la giornalista Mediaset Barbara Palombelli. “Napoli ha anche un’eccellenza” aveva messo giù il carico il direttore delle maratona, Enrico Mentana. Poi il servizio di Report che pur di mostrare una "Campania al collasso" ha mostrato come opzioni possibili rispetto al Covid center di Ponticelli, ospedali inagibili da anni come il San Gennaro, l’Asalesi e addirittura una struttura fantasma degli anni ’80 ad Amalfi. Il tutto senza mostrare neanche per un secondo l’ospedale covid migliore al mondo, il Cotugno di Napoli.
Anche la giornalista napoletana de La7, Myrta Merlino, nel suo appuntamento quotidiano pomeridiano ha tuonato “I contagi non ci sono stati a Napoli, per me è incredibile perché non ce lo aspettavamo mai che l’eccellenza arrivasse da Napoli”, e figurarsi da qui solo scandali, camorra e pizzaiuoli.
Tutti, ognuno a modo loro, si sono scusati a cose fatte, ma spesso le pezze sono peggio dei buchi e mostrano un pregiudizio ormai solidificato che non permette di guardare davvero la realtà che si pretende di raccontare.
Poi arriva Locatelli che di numeri ne capisce e li guarda senza gli occhiali del racconto prestabilito e già confezionato e, con candida ingenuità, squarcia il pregiudizio dei media italiani. “in Campania ci son stati 221 morti. In un mese meno morti di un solo giorno della Lombardia”.
Davanti ai numeri dei morti non si fanno gare e non si fanno classifiche ma chi si vuole arrogare il diritto di informare e di raccontare il Paese, ha il dovere di leggerli prima i numeri, di provare a capire cosa significano, di indagare su quali scelte giuste o sbagliate li hanno generati. Solo dopo aver indagato, studiato e sgombrato il campo dai pregiudizi e dalle idee preconfezionate si può provare a raccontare una tragedia.