Scontro sul Manifesto di Ventotene: la critica di Meloni infiamma l'aula

La Premier critica il documento fondativo dell'Unione Europea, scatenando proteste e sospensione

scontro sul manifesto di ventotene la critica di meloni infiamma l aula

"Non so se questa è la vostra Europa, ma certamente non è la mia". Questa dichiarazione ha provocato una forte reazione dalle opposizioni, portando a momenti di tensione e alla sospensione temporanea dei lavori.

Giorgia Meloni non improvvisa mai. Quando oggi, alla Camera, ha deciso di citare il Manifesto di Ventotene, sapeva esattamente cosa stava facendo. Non è stata una svista, né un inciampo retorico. È stata una scelta politica netta. "Non so se questa è la vostra Europa, ma certamente non è la mia", ha scandito con fermezza, prendendo le distanze dal documento fondativo del sogno europeo.

Parole che pesano come macigni. Il Manifesto di Ventotene, scritto nel 1941 da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni mentre il fascismo incendiava l'Europa, non è solo un pezzo di carta. È il simbolo della ribellione al nazionalismo che aveva distrutto il continente. Un testo che invocava un'Europa unita, federale, in grado di spezzare la catena di guerre che il sovranismo aveva prodotto.

Meloni non ne ha fatto una semplice citazione, ma una critica frontale. Ha scelto di isolare i passaggi in cui si parla di "rivoluzione socialista" e "abolizione della proprietà privata", volendoli trasformare in una macchia ideologica. Ma il messaggio era un altro: delegittimare le radici storiche dell'Unione Europea e proporre una narrazione alternativa, quella della destra conservatrice che guarda con sospetto alla costruzione comunitaria.


L'Aula esplode: la difesa di Ventotene e il fronte anti-sovranista

Le parole della Premier sono state come benzina su un fuoco già acceso. Il Partito Democratico e il Movimento 5 Stelle sono insorti. Federico Fornaro, con voce rotta dall’emozione, ha difeso il Manifesto di Ventotene come la "vera risposta ai nazionalismi, il cuore della nostra democrazia europea".

Lo scontro è diventato un'onda montante. Deputati che battono i pugni, urla, la richiesta di un immediato chiarimento. A poco è servita la presidenza della Camera, che ha tentato di riportare l’ordine: l'aula era ormai una polveriera.

Ma il punto politico è chiaro. Ventotene non è solo un pezzo di storia: è una linea di demarcazione. Da una parte chi crede in un'Europa più unita, dall'altra chi vuole un ritorno alla sovranità nazionale. Meloni ha scelto il suo campo, senza esitazioni.


Non una semplice polemica: il futuro dell'Europa è in gioco

Dietro la bagarre parlamentare, c’è una strategia. Il 2024 è l’anno delle elezioni europee e Meloni sa che il suo destino si gioca anche a Bruxelles. La sua Fratelli d’Italia guida un governo che guarda con fastidio all’architettura comunitaria e punta a spostarne gli equilibri a destra. La critica a Ventotene è un messaggio chiaro al suo elettorato: questa Unione Europea non è la mia.

Ma quale sarebbe la sua Europa? Un’Europa delle nazioni, meno integrata, meno vincolata a Bruxelles, più simile al vecchio modello degli stati-nazione che il Manifesto di Ventotene voleva superare. È la stessa visione che ispira gli alleati di Meloni, da Viktor Orbán a Marine Le Pen, da Santiago Abascal a Geert Wilders.

Il problema è che l'Europa attuale, con tutti i suoi difetti, è nata proprio per impedire il ritorno dei conflitti nazionalisti che l’hanno insanguinata. Rinnegare Ventotene non è solo un atto di revisionismo storico: è una sfida aperta all’idea stessa di un’Unione Europea coesa e solidale.


Una miccia accesa e una partita aperta

Meloni ha acceso la miccia, ma la partita è appena iniziata. Nei prossimi mesi, con le elezioni europee alle porte, la contrapposizione tra sovranisti ed europeisti si farà ancora più feroce. La frase della Premier resterà come una pietra miliare nella strategia della destra italiana: questa Unione Europea non ci appartiene, vogliamo rifarla a nostra immagine e somiglianza.

Ma può davvero un'Europa senza Ventotene reggersi in piedi? È questa la vera domanda a cui la politica italiana ed europea dovrà rispondere. E il dibattito di oggi alla Camera è solo un assaggio dello scontro che verrà.