Dal 2021 al 2024, 4.442 persone hanno perso la vita sul lavoro in Italia. Il settore delle costruzioni è quello in cui si conta il maggior numero di decessi con 564 vittime. Le zone con il rischio più alto sono al Centro e al Sud. Basilicata e Umbria in zona rossa per quattro anni consecutivi, seguite da Campania e Valle d'Aosta per tre. La Toscana si distingue come la regione più virtuosa, con due anni in zona bianca.
Le costanti drammatiche dell’emergenza: gli over 65 sono i più vulnerabili, mentre gli stranieri registrano un tasso di mortalità doppio rispetto agli italiani, sia sul posto di lavoro sia in itinere. 418 le donne che hanno perso la vita sul lavoro.
“Il bilancio è tragico, tanto quanto quello di un bollettino di guerra. Perché questo sembra purtroppo il lavoro nel nostro Paese: un campo di battaglia senza trincea e senza scudi. Negli ultimi quattro anni le vittime ‘ufficiali’ sono state 4.442. Ricordiamo, infatti, che dalle rilevazioni ufficiali non emerge il mercato del lavoro sommerso in cui ovviamente risulta assai difficile indagare. Comunque l’emergenza ‘ufficiale’ basta e avanza. A preoccupare non sono solo i numeri, ma anche e soprattutto l’incidenza di mortalità rispetto alla popolazione lavorativa che non accenna a diminuire in modo incisivo. Ciò significa che il rischio di morte per i lavoratori rimane sempre elevato e pressoché invariato negli ultimi anni”.
Così Mauro Rossato, presidente dell’osservatorio sicurezza e ambiente Vega di Mestre, commenta la triste e costante tendenza nel nostro Paese introducendo l’ultima indagine elaborata dal proprio team di esperti sugli infortuni mortali e non mortali avvenuti negli ultimi quattro anni in Italia.
Basilicata e Umbria sono le regioni più pericolose in cui lavorare. L’incidenza di mortalità rilevata nel quadriennio ha, infatti, mantenuto queste regioni in zona rossa per quattro anni consecutivi.
Mentre è la Toscana la regione che registra i migliori risultati, con due anni in zona bianca e due in zona gialla, mantenendo sempre incidenze di mortalità sul lavoro inferiori alla media nazionale. (In allegato la zonizzazione delle regioni nel quadriennio)
In generale, dalla cronologia della mappatura emerge che le regioni con una popolazione lavorativa più elevata registrano incidenze di mortalità pari o addirittura inferiori alla media nazionale. È il caso della Lombardia, del Lazio e del Veneto, che pur essendo in cima per numero di occupati, non figurano mai tra le regioni con le incidenze più elevate.
“Interessante rilevare come da questa analisi si evidenzi l’effetto del Covid nelle statistiche degli infortuni sul lavoro. Infatti, l’incidenza media annua nell’ultimo anno del Covid (ossia il 2021) è di molto superiore rispetto all’ultimo triennio considerato – spiega Mauro Rossato –nel 2021 si registra un’incidenza media annua di 43,1 infortuni mortali ogni milione di occupati, mentre nel 2022, 2023 e nel 2024 i valori sono diminuiti rispettivamente a 34,2 e 33,9 e 34,1. Tuttavia, il decremento osservato non risulta significativo né indica una vera inversione di tendenza. Anzi, per chi opera nel settore della sicurezza sul lavoro, tali lievi flessioni evidenziano il persistente dramma dell’emergenza”.
Analizzando l’emergenza per settore, a detenere il triste primato di morti in occasione di lavoro, lungo tutto il quadriennio considerato, è quello delle Costruzioni (564 decessi), seguito da Trasporti e Magazzinaggio (434 vittime) e dalle Attività manifatturiere (411).
Oltre alla definizione del livello di sicurezza per ciascuna regione, l’Osservatorio individua nel corso del quadriennio 2021-2024, l’identikit dei lavoratori più a rischio per fascia d’età. E lo fa sempre attraverso le incidenze di mortalità.
Un dato, quest’ultimo, che continua a essere sempre più preoccupante tra i lavoratori anziani; proprio nella fascia dei lavoratori ultrasessantacinquenni l’incidenza nei quattro anni va da un minimo di 96,1 morti per milione di occupati relativo al 2022 ad un massimo di 150,4 nel 2021, seguita dalla fascia di lavoratori compresi tra i 55 e i 64 anni (da 54,5 a 82,2).
Ma c’è un altro dato molto significativo e altrettanto scoraggiante che emerge osservando le denunce totali di infortunio: quello che riguarda i più giovani. Le nuove e nuovissime generazioni, infatti, tendono ad infortunarsi maggiormente rispetto ai più anziani senza necessariamente gravi conseguenze. Ciò può essere in parte spiegato da una minore esperienza lavorativa ma, allo stesso tempo, da una maggiore reattività nell’evitare conseguenze gravi.
Una proiezione molto importante e al tempo stesso molto preoccupante per capire le lacune sul fronte della sicurezza nel nostro Paese, riguarda le incidenze di mortalità tra i lavoratori stranieri: sempre più elevate rispetto a quelle dei colleghi italiani. Nell’ultimo triennio analizzato dall’Osservatorio Vega Engineering questo dato è diventato più che doppio sia nelle morti in occasione di lavoro sia in quelle in itinere. Le incidenze di mortalità in occasione di lavoro tra i lavoratori stranieri vanno dunque da un minimo di 63,2 morti per milione di occupati nel 2022 a 74,2 nel 2024, mentre per gli italiani si va da 29,7 nel 2024 a 40,8 nel 2021 (secondo anno di pandemia).
Per genere, invece, a subire il maggior numero di infortuni e a morire di più sono gli uomini. Anche considerando le incidenze rispetto alla popolazione lavorativa gli uomini mostrano valori ben più elevati.
Quando si parla di infortuni mortali in occasione di lavoro, gli uomini fanno rilevare incidenze di mortalità che oscillano tra i 54,7 decessi per milione di occupati e i 67,6, mentre le donne da 5,2 a 9,6 decessi per milione di occupati.
Sono 4.442 le vittime sul lavoro da gennaio 2021 a dicembre 2024: 1.075 in itinere e 3.367 in occasione di lavoro. Ed è quest’ultimo il dato più preoccupante, perché è quello che definisce la qualità della quotidianità lavorativa degli italiani.
Nel 2021 erano 973. Ed era il secondo anno di pandemia. Dopo l’emergenza sanitaria i numeri delle vittime sono diminuiti nel 2022 (790). Ma nel 2023 sono nuovamente aumentati (799) per crescere ancora nel 2024 (805).
Il lunedì risulta il giorno più luttuoso della settimana ovvero quello in cui si sono verificati più infortuni mortali in occasione di lavoro dal 2021 al 2023, mentre nel 2024 è il martedì il giorno con più vittime.
Nel 2021 e fino al 2022, complice l’inserimento tra gli infortuni sul lavoro delle malattie conseguenti al Covid contratte “prevedibilmente” durante l’attività lavorativa, le denunce di infortunio totali sono sensibilmente aumentate: 555.236 nel 2021 e hanno raggiunto le 697.773 nel 2022. Poi sono diminuite a 585.356 nel 2023 e lievemente risalite a 589.571 nel 2024.
Nel 2023 si è evidenziata un’inversione di tendenza. Le denunce sono scese, infatti, a 585.356 segnando un decremento del 16,1%. D’obbligo sottolineare come il decremento sia dovuto alla “quasi totale estinzione” degli infortuni connessi al Covid dalle statistiche. Interessante nella lettura del periodo anche l’andamento delle denunce totali nel settore della Sanità, quello più provato dalla pandemia. Sono state 39.579 nel 2021 e addirittura 84.327 nel 2022 per passare ad un decremento di oltre il 50% nel 2023 (41.171) e nel 2024 (36.425).
L’incidenza degli infortuni mortali indica il numero di lavoratori deceduti durante l’attività lavorativa in una data area (regione o provincia) ogni milione di occupati presenti nella stessa. Questo indice consente di confrontare il fenomeno infortunistico tra le diverse regioni, pur caratterizzate da una popolazione lavorativa differente.