Una brutta storia

La crisi al comune di Avellino, una storia brutta sul piano politico e triste sul piano umano...

una brutta storia

La speranza che i cittadini ritornino presto protagonisti ‘politici’ nelle urne in modo che Avellino possa elevarsi, nel suo significato più intimo, dal degrado civile e mostrarsi senza vergogna a sé stessa come “città dell'Uomo"

Avellino.  

di Toni Iermano*

Questo breve sussulto epifanico, scegliendo un preciso angolo di rifrazione, avrei potuto intitolarlo “L’assalto al treno” oppure “La febbre dell’oro”, tanto per riprendere ironicamente i titoli di alcuni noti film del Novecento, ma francamente ho ritenuto che quanto accade in questi giorni nella modesta, affranta Avellino, una città di provincia dall’inequivocabile simbolico “tono” meridionale, non possa non riassumersi che nella fredda, epigrafica definizione di una brutta storia. Brutta sul piano politico e tristissima, assai, su quello umano.

Quanto era facile profetizzare durante i mesi estivi si è puntualmente avverato in queste prime fredde giornate invernali. L’ombra di Banquo, che continua a chiedere ossessivamente ai suoi cari “Quanto è lunga la notte”, si è materializzata puntando su uno dei sentimenti più fatui del linguaggio umano, la gratitudine, o forse, in maniera molto meno nobile, sul principio della correità.

L’Ombra, con segni conclamati di sociotropia, ha tentato di riprendere il ruolo di protagonista dimenticando di aver intanto generato una “stirpe” dal volto bronzeo - naturalmente non ci riferiamo a quello di Delo -, benché non di origine reale come invece aveva fatto il personaggio del “Macbeth” di Shakespeare, ma indubbiamente vorace e particolarmente allenata ad una furbesca ruvidezza di tipo rurale, distante dalla più elegante pratica dell’etica della responsabilità.

Teatralmente, occorre riconoscerlo, quanto errava questa fantasmagorica maschera del nostro tempo. Nessuno, nemmeno chi con te ha incrociato destini incerti e probabilmente percorso oscuri sentieri - (almeno così pare sia sostenuto dalla magistratura inquirente) -, con solerte accondiscendenza, trafugato carte sotto l’occhio impietoso di una glaciale telecamera nascosta, trasportato faldoni verso luoghi misteriosi, ed ottenuto soprattutto migliaia di voti grazie alla tua murata ma ancora attiva malleveria, può cederti quanto miracolosamente sancito: da urne, in quel contesto, paragonabili alla fornace di Cimitile da cui San Gennaro uscì illeso.

Tanti mesi di detenzione domiciliare, che la Corte di Cassazione, per quanto letto, ha ritenuto eccessivi, provano chiunque non sia un allenato Billy Dillinger. Pertanto appare inevitabile una reazione a dir poco scomposta, esagerata, per molti versi, drammatica, riconducibile, forse, più che nella sfera politica negli ambiti della psicologia sociale.

Inoltre occorre tener conto di quanto il popolo che osanna è storicamente e genealogicamente abituato a trasformare i propri applausi, le proprie pulsioni emotive in spietate, pubbliche lapidazioni. Si aggiunga che facebook, una disordinata arca di Noè, offre una libera tribuna a chiunque, e in questo esercito di chiunque, sovente, si esprimono, con inusitato livore, i peggiori.

Banquo è ferito, animoso, rabbioso al punto da trasformare i suoi correi e soci in vittime, ridandogli una credibilità effimera, certo, ma assai funzionale per conservarli nei loro incarichi mentre la sua ombra è destinata a svanire attraverso la ricerca, immorale ma non stravagante, della regola della quantità numerica e quindi della sopravvivenza. Già premurosamente si sono rintracciate situazioni analoghe nel recente passato. Siamo alla trasformazione e alla mimesi della forma nota nell’informe; informe santificato benché inquinato attraverso la logica dell’illogico.

Allo stesso modo di Dorcas Gustine, uno degli abitanti defunti del villaggio di Spoon River, non gli resterà che ripetere: “Mi biasimi chi vuole - io son contento”. Contento di una solitudine di fatto, generata impietosamente, ahimè, dalla crescente lontananza dalla coagulazione del poter fare. Persino la Chiesa, secondo le cronache, avrebbe rotto la recinzione del sagrato con inattese battute anti-storiche, per ratificare la invariabilità dell’esistente.

Intanto gli ineffabili “discendenti” sono già in trattativa con i “responsabili”, proprio così, i “responsabili” che evocano nei modi e nei linguaggi non Bruto e Cassio bensì le gesta e le intenzioni degli Scilipoti del tempo che fu.

Ho più volte scritto sul lessico pseudo-politico, quanto dichiaratamente fragile e quasi comico sul piano concettuale, di questo nugolo di strane figure che agita da destra a sinistra, da sinistra a destra, la bandiera dell’accordo in nome del bene comune. Infatti. Bene comune inteso non come Buon Governo ma come gomitolo di incarichi da srotolare nella spartizione soggettiva della gestione amministrativa.

Purtroppo nel tempo della post-modernità, delle guerre diffuse, delle catastrofi ambientali e degli esodi biblici, fare l’assessore di una piccola città di provincia resta il sogno di tanti oscuri gregari a cui, talvolta, manca una seria frequenza della vecchia scuola popolare, quella in cui s’imparava a leggere, a scrivere in italiano e a far di conto.

Il linguaggio in queste ore è inequivocabile. Sopravvissuti del vecchio boss-system alla ricerca famelica, almeno quella mai tradita, di candidature regionali, indignati di professione, custodi della sapienza e della pioggia, anime candide, sono tutti a lavoro per ridare ad Avellino - mi chiedo quale Avellino -, dignità, decoro, disinteresse, senso civico, cultura, moralità.

Nell’autonominatosi sinedrio della moralità pubblica, che ritorna intanto ad agitarsi serioso sul locale diagramma politico-sociale, ritrovano voce i piagnoni d’occasione e gli apocalittici integrati, pronti ad addossare a una società indistinta responsabilità invece ben riconoscibili nelle gerarchie e nelle dinamiche del dominio. Serve leggere e studiare Pierre Bourdieu (1930-2002) sulla società conflittuale e non lamentarsi. Solo per iniziare “Ragioni pratiche” (il Mulino, 2009). Quindi: pazienza e coraggio.

In attesa di una rinnovata armonia e concordanza tra Banquo e la sua stirpe, contestata, in parte, dagli eredi e interamente contrastata da coloro che “con senso di responsabilità” non attendono altro che il momento della conta in Consiglio per santificare eventuali ribaltoni, la città offesa, in gran parte secolarizzata, vive distratta la sua mancata Epifanìa.

A noi cosa resta?

La speranza che i cittadini, con altri e nuovi doveri, ritornino presto protagonisti ‘politici’ nelle urne in modo che Avellino possa elevarsi, nel suo significato più intimo, dal degrado civile e mostrarsi senza vergogna a sé stessa come “città dell’Uomo”.

L'autore è Professore ordinario di Letteratura italiana Dipartimento di Lettere e Filosofia - Università degli Studi di Cassino e del Lazio meridionale