Quer pasticciaccio brutto de Piazza del Popolo

Riflessione sulle imbarazzanti vicende politico amministrative della città di Avellino

quer pasticciaccio brutto de piazza del popolo
Avellino.  

Richiamandomi con audacia almeno nel titolo al celebre romanzo di Carlo Emilio Gadda, “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana”, vorrei svolgere alcune rapide, neutre considerazioni sulle imbarazzanti vicende politico-amministrative attraversate e subite dalla affranta città di Avellino in questi torridi e torbi mesi estivi. Forse le investigazioni del dottore Francesco Ingravallo, noto come don Ciccio, “comandato alla mobile” di Roma, a cui affiancherei il meditativo commissario Melillo, creatura affascinante del nostro Franco Festa, potrebbero aiutarci a risolvere questo cruciverba tutto interno alla specificità avellinese.

Partiamo subito dai parametri e dalle nozioni ancora dominanti nei nuclei genetici della nuova amministrazione comunale. Un’operazione di una ipocrisia obbliqua, del tutto priva di quella necessaria misura del limite che la situazione ‘oggettivamente’ richiedeva al suono delle campane di tutte le chiese cittadine.

Per schivare gaddianamente una “referenziale fifarella”, si è attivato un modesto gioco di rimbalzi linguistici tra “continuità” e “discontinuità”, il tutto incurante di quanto affermato con colorata protervia nel corso della vuota campagna elettorale. Il risultato è stato il frutto di un confuso impasto di termini, i cui significati sono stati mirabilmente espunti dai vocabolari della lingua italiana. Gli oltre 12 mila voti derivavano palesemente dalla continuità con l’ancien bazar, la composizione della giunta dalla urgenza di chiedere clemenza alla magistratura inquirente e di offrire in cambio di un momentaneo lasciapassare un cinico segnale di superamento dell’ingombrante, improponibile, ombra di Banquo, personaggio non ospitato con tutti gli onori nel castello d’Inverness dal re Duncan ma rinchiuso in un grigio, anonimo condominio nostrano.

Mi spiego ulteriormente. I 24 consiglieri di maggioranza, verticalmente dal basso verso l’alto reduci dalla precedente esperienza amministrativa, ora sottoposta a severe indagini giudiziarie, sostengono il “cambiamento” in nome della “continuità”. Siamo alla esplicazione di un sofisma rabberciato, di uno scambio di aporie che lottano pervicacemente con la realtà sia sul piano razionale che su quello, sempre più inclinato e antagonista, della morale.

Il commissario prefettizio al termine del suo lavoro aveva affermato che gli amministratori pubblici avevano agito “in una totale assenza di regole”: si ricordi la mancata pubblicazione di centinaia di delibere di giunta e la disinvoltura con cui l’esercizio dell’amministrazione si affossava quotidianamente.

Nella ordinanza del giudice per le indagini preliminari del giorno 8 luglio 2024 non a caso, riprendo da appunti raccolti da alcune puntuali cronache apparse nei giornali locali, ritiene che, testuale, “neppure le dimissioni dall’incarico del Festa e l’elezione del nuovo sindaco appaiono dirimenti per escludere il pericolo di recidiva”

La sindaca attualmente in carica, per ben 5 anni vice silenziosa e fidatissima di chi oggi è ancora agli arresti domiciliari con accuse assai gravi sul piano penale, è ripresa nell’atto di far sparire dei documenti - quali? - nei drammatici giorni che precedettero una perquisizione negli uffici comunali.

Si tratta “difatti” della stessa persona che ha condiviso ogni atto amministrativo con l’ex sindaco, a cui la legavano condivisione di programmi e comunanza d’intenti, e non ha esitato “a prelevare e far sparire documenti all’interno dell’ufficio del primo cittadino” prima dell’arrivo della polizia giudiziaria. Ancora una volta chiediamo aiuto ai commissari Ingravallo e Melillo per un chiarimento definitivo del giocoso ‘affaire’.

Non credo serva aver meditato per anni sull’ “Etica” di Spinoza o aver letto nottetempo la “Critica del giudizio” di Kant per capire che ci troviamo in una situazione insostenibile da qualsiasi lato la si voglia osservare e giudicare. Eppure la città, tradizionalmente rumorosa e pettegola, è avvolta in un protettivo mantello di accondiscendente correità che non permette di trapungere in alcun modo le coscienze sedate.

Persino parte dell’opposizione, già sfarinata ancor prima di cominciare, ha saputo trovare parole sottilmente accomodanti pur di avviare un’opera di mediazione con una maggioranza folta quanto incompiuta, intimamente insoddisfatta e affamata di dolci piaceri gestionali nel sacro (sic!) arengo locale.

Mi riferisco a quella parte o fazione che si richiama al perdente, immutabile, ma sempre evergreen Partito democratico avellinese - più che un partito un intrico micidiale di ambizioni incontinenti e pervicacemente reiterate -, ansioso di abbandonare al suo destino quel candidato - un ottimo candidato a dire il vero - che aveva dovuto subire solo per obbedire alle indicazioni della giovane Elly, che gli “illuminati” quanto servili politicanti locali non avevano votato, e alle ruvide, furbesche benedizioni del reuccio salernitano.

Nel caotico puzzle delle destre, invece, si è scelto, con atavico, poco rasciugato opportunismo, di aggregarsi al carro di Mangiafuoco, carico di burattini, di fatine di cartapesta e di Pinocchi mal riusciti, senza saper cogliere il flusso favorevole della corrente: la devastante debacle elettorale di Fratelli d’Italia e il richiamo ad un civismo senza fondamento costituiscono la dimostrazione chimica della vastità degli errori politici commessi.

‘Last but not least’ una breve considerazione sulla composizione della giunta comunale. Probabilmente, ed è qui il senso del paradosso, l’unica indagata ancora in carica nel salmastro scatolone comunale è la prima cittadina. Nessuno degli ex assessori lo è, ricordiamolo, eppure hanno dovuto farsi da parte per lasciare spazio a professori ed esperti di vario taglio, misura e capacità, finora palemoni corrucciati e didascalici, silenti e indifferenti alla ferita a morte subita così clamorosamente dalla decaduta ‘capitale’ d’Irpinia.

Eppoi occorre riscontrare un’analogia con le giunte della scabra e rinnegata ombra di Banquo. Nomi di persone presentate con paesana enfasi - quella è dura a morire persino oggi -, scomparse in seguito senza alcun rimpianto. Si avrà quindi il tempo per rivivere ancora i trionfi del recente passato?

La città è intrisa d’infinite nature che richiedono conoscenze non scolastiche o emulative ma azioni concretamente operative per poter essere addomesticate; almeno in parte. Con il Gadda del ‘Pasticciaccio’, ammirando questo coro di voci bianche pronto a demarrare verso sognati lidi, finiamo per ripetere che a Piazza del Popolo sopravviene “davvero il feffe-feffe, a tutta faffa”.

Intanto le piazze, esorcizzate dal richiamo degli ovili e del tutto prive di resistenza critica, si riempiono di una massa gongolante e bambina, legittimata a perdonare trafugamenti, scoloriture varie e taciti singhiozzi al canto virale e dolcificante di Rossetto e caffè.

Davanti a tanta alienazione e alla esposizione di teste quasi parodisticamente politiche, che d’Annunzio non esiterebbe a definire anguicrinite, cosa fare? Gesualdo Bufalino ci suggerirebbe il nobile e in fondo divertito: “a noi due”.

L'autore è Professore ordinario di Letteratura italiana nell’Università degli Studi di Cassino e del Lazio meridionale