Hanno sconfitto il Covid e protetto il loro paese

La storia drammatica e nello stesso tempo emozionante della famiglia Giannetta

hanno sconfitto il covid e protetto il loro paese

Il racconto

Scampitella.  

Il dramma di una famiglia che dopo un calvario incredibile, ha sconfitto il Covid-19 proteggendo con grande senso di responsabilità e coscienziosamente il proprio paese Scampitella e non solo, blindandosi in casa prima di finire in un letto d'ospedale, per evitare ogni contatto, che in una piccola comunità avrebbe trovato terreno ancora più fertile. E' la storia della famiglia Giannetta che ci viene raccontata in maniera puntuale da Maria Antonietta, figlia di Salvatore 62 anni compiuti oggi nel giorno del centesimo anniversario della nascita di San Giovanni Paolo II e di mamma Franca che insieme a sua nonna Beatrice ora sono finalmente guariti. Nella loro mente un'esperienza terribile ma anche tanto calore umano. "Se siamo vivi lo dobbiamo solo a Dio, la vita non sarà mai più come prima, per tutti oggi, ma ci auguriamo che questa nostra esperienza possa essere un motivo di rassicurazione e un invito a tutti a non mollare."

"Tutto ha avuto inizio il 28 febbraio quando dopo varie analisi nonna Bice, 91 anni, viene ricoverata d’urgenza presso l’ospedale Frangipane di Ariano Irpino per accertamenti sul suo stato di salute cagionevole; la sua permanenza si è protratta fino al giorno delle sue dimissioni, 7 marzo senza che si fosse capitala causa reale del suo malessere. Ad assisterla nella sua permanenza in ospedale ci siamo avvicendate prevalentemente io e mia zia Maria.

In quei giorni convulsi - Maria Antonietta - della prima decade di marzo i casi di Covid-19 in Italia iniziavano ad aumentare in maniera esponenziale e preoccupante e, inconsciamente convinti che i contagi si potessero manifestare soltanto in limitate aree del settentrione, nessuno avrebbe pensato di avere a che fare con questo mostro invisibile proprio in quella stanza di ospedale, dove le persone vanno per essere curate e non per contrarre ulteriori malattie.

Nonostante non fossero stati accertati contagi nella Provincia avevamo intrapreso tutte le dovute misure precauzionali (prima del famoso lockdown del 9 marzo) già durante il periodo di degenza di mia nonna in ospedale e soprattutto dopo la serata del 5 marzo nel quale si accerta il primo contagio nel Tricolle.

La stessa mattina del 5, con tanta paura e con tutte le dovute precauzioni, rientra anche mia mamma dopo una permanenza da mia sorella a Torino: pensando che sarebbe potuta essere contagiosa per via del viaggio e della provenienza dal secondo capoluogo d’Italia per incidenza della malattia ha ben deciso di autoisolarsi in un’ala semi-indipendente della casa.

Il 7 marzo nonna rientra a casa, provata ma apparentemente in condizioni fisiche buone. Da lunedì 9 marzo iniziano i primi sintomi della malattia per nonna: febbre che nonostante il paracetamolo non scende sotto i 37°, tosse, vomito: prende il soprassalto il dubbio che possa essere coronavirus.

Per questo motivo viene chiamato il reparto di medicina generale di Ariano Irpino, dove era ricoverata nonna, per chiedere se fosse il caso di preoccuparci per un eventuale contagio e conseguentementevalutare se intraprendere provvedimenti per valutare un’indagine di natura epidemiologica: la risposta data fu che il reparto era al momento super sicuro e non contaminato.

La stessa sera del giorno 12 marzo inizio ad avere anche io dei sintomi e sfortunatamente arriva la conferma di un paziente positivo proprio nello stesso reparto dove era stata ricoverata nonna.

Nei giorni successi la febbre non scende e dopo varie insistenze da parte di mia mamma, dopo aver chiamato i vari numeri regionali, il 112 e il 118, numeri regionali (i quali ci consigliano al momento solo di isolarci e produrre dispositivi di Protezione Individuale artigianali) riusciamo grazie soprattutto al dottor Onofrio Manzi, coordinatore del dipartimento di prevenzione Asl di Avellino, ad ottenere, sabato 14 marzo, un tampone a domicilio per nonna.

Dopo aver evitato, per tutto il periodo precedente, incontri con amici e conoscenti e limitato le visite con altri familiari, ovviamente rispettando sempre le buone regole di distanziamento sociale, dal 12 marzo , giorno della positività della persona nello stesso reparto di nonna restiamo in isolamento io, mia nonna, mia mamma e mia zia all’interno della nostra residenza di Scampitella, e mio padre nella seconda casa in comune di Lacedonia.

Domenica 15 verso sera arriva la conferma della positività di nonna: il suo stato di salute desta sempre più preoccupazione. La dottoressa di famiglia ci consiglia di procurarci un saturimetro e di somministrare eventualmente ossigeno tramite all’abbassarsi di tale valore sotto valori soglia.

Dalla conferma fino alla mattina di mercoledì 18 aprile, momento del ricovero di mia nonna, nonostante continue sollecitazioni sulla valutazione del suo stato di salute e di quello delle persone che erano con lei, il nulla: tutte palesemente malate di Covid. Io con febbre altalenante da giorni e dolori toracici fortissimi, mia zia che continuava ad assisterla di notte dopo averlo fatto in ospedale, con una bruttissima tosse e mia madre con febbre alta.

Ci saremmo aspettati che ci venisse effettuato nel breve ilfatidico tampone che, purtroppo, è arrivato soltanto nel momento in cui noi donne ci siamo recate in ospedale.

Quindi da mercoledì 18 marzo inizia la “processione” verso l’ospedale Moscati di Avellino. Prima zia la quale si reca da sola in pronto soccorso per dispnea, dopo nonna la quale viene ricoverata d’urgenza, la sera stessa mamma dopo la perdita di sensi, che viene ricoverata per polmonite interstiziale da Covid-19.

Il giorno seguente in preda al panico, dopo aver riscontrato valori di saturazione anomali, decido di chiamare il 118 e, vista anche la familiarità del problema, vengo portata in ospedale dove, dopo vari accertamenti, viene riscontrata anche a me la polmonite tipica del Covid e il conseguente ricovero.

Contestualmente vengono effettuati i tamponi a me e mia madre in ospedale e anche a mio padre e mia zia, che nel frattempo era stata mandata a casa per un interessamento alle vie aeree superiori, e viene poi confermata la positività di tutti.

Anche papà presenta la malattia, cerca di farsi ricoverare ma ai primi tentativi il 118 ritiene che possa stare a casa e solo venerdì 27 marzo, quando la situazione sembrava repentinamente degenerare, viene anche lui ricoverato presso il Moscati di Avellino: la sua condizione clinica si presentava la peggiore di tutti per il non essere intervenuti tempestivamente.

Presso il Moscati non solo ci hanno monitorati e curati ma finalmente hanno capito anche il problema per il quale mia nonna fu ricoverata presso l’ospedale di Ariano Irpino.

Una volta clinicamente guarite ma in attesa dei tamponi negativi che accertassero la nostra guarigione totale io, mamma e nonna siamo state trasferite presso la Clinica Santa Rita di Atripalda.

Mio padre è stato dimesso dal Moscati il 27 aprile, mia madre il 3 maggio dalla Clinica Santa Rita, nonna il 5 maggio sempre dalla Clinica Santa Rita e io il 16 maggio, dopo ben 58 giorni, dopo 13 tamponi, tredici, molto altalenanti.

A volte - conclude Maria Antonietta - non mi capacito del fatto che questi tamponi possano essere stati questi tamponi sistematicamente positivo-negativo o viceversa, senza che ci fossero i due tamponi negativi consecutivi atti a constatare la mia guarigione totale.

Detto ciò i miei ringraziamenti vanno sicuramente alle persone che si sono prese cura di noi, dalla dottoressa Dell’Aquila, responsabile del reparto di malattie infettive, la dottoressa Masiello e il dottore Leone, responsabili dei reparti di chirurgia d’urgenza, medicina generale, il dottore Cioffi della clinica Santa Rita, gli infermieri tutti, in particolare Elena, Carmela, Gabriella della Santa Rita che non si sono mai sottratti al loro dover seppur con la ragionevole paura di un contagio. Al dottore Italo Giulivo, responsabile della Protezione Civile della Regione Campania e al dottore Onofrio Manzi, dirigente Asl, per la loro presenza ed il costante interessamento.

Un ringraziamento particolare alla dottoressa Maria Teresa Ielpo e Giacomet, infettivologa presso l’ospedale Sacco di Milano, per la vicinanza e il continuo monitoraggio delle nostre condizionicliniche ed il continuo supporto psicologico. Ringraziamo Giovanna Rauseo che ci ha fatto sentire il calore familiare coccolandoci molto frequentemente con le “coccole” che zia Lucia ci preparava. Ringraziamo soprattutto la nostra famiglia, Raffaele, Beatrice, zia Lucia e zio Gennaro che hanno vissuto le nostre paure nei momenti bui e hanno gioito quando tutto era finito. Ringraziamo tutti gli amici vicini e lontani che nonostante tutto non ci hanno mai fatto sentire soli."