Sì, lo Scudetto del Napoli è una storia da raccontare

La vittoria, la Piazza e una città che spesso toglie, ma quando dà è generosissima

si lo scudetto del napoli e una storia da raccontare
Napoli.  

E' lo scudetto della gente, di quelli che hanno visto quelli di Maradona e che aspettavano da 33 anni, di quei ragazzini allora troppo piccoli o non ancora nati e che di scudetti avevano sentito parlare solo nei ricordi.
E' lo scudetto di studenti, turisti e lavoratori stranieri venuti a Napoli per l'occasione, per vacanza o per caso e che, oggi, domani e ad aeternum alla domanda del Capuano di Sorrentino potranno rispondere che Sì, hanno una storia da raccontare.


Volubile Napoli: al gol dell'Udinese Piazza Plebiscito e Via Toledo sembravano ignorare ciò che stava accadendo. Si chiama meccanismo della negazione.
Possibile persino prendersi un caffè, delizioso, e sì, alle nove di sera perché sarà lunga, in uno dei bar di Piazza Trieste e Trento: è una serata qualsiasi in fondo...la paura di un nuovo rinvio della festa dice questo.
Solo qualche bimbo in piazza, i venditori di trombette e di bibite si guardano spaesati attorno. Finisce il primo tempo e pare di stare sul set di “Scusate il Ritardo”, dove però sono praticamente tutti Massimo Troisi: d'altronde bianconero era il Cesena, bianconero è l'Udinese...e come allora c'è da rassicurare Giuliana De Sio che è comunque solo il primo tempo.


Delle poche persone in piazza tutte hanno uno smartphone che trasmette la gara... e tutti come gli orologi degli uomini a disposizione del commissario Auricchio interpretato da Lino Banfi, che viaggiano su orari diversi. Per cui il gol di Osimhen del pareggio diventa un pellegrinaggio di smartphone in smartphone a seconda dei minuti di ritardo, per fare festa un po' di più.
E allora la piazza torna a riempirsi, dei tifosi e delle loro storie. C'è Nikah, una studentessa iraniana dagli occhi magnetici, che in Piazza Plebiscito si inebria della gioia di una squadra di calcio: “E' bellissimo vedervi festeggiare, una grande gioia essere qui. Forza Napoli”. C'è il papà che porta la figlia 14enne da Biella, dov'è nata, per rivivere le gioie dello scudetto del '90, a Napoli li raggiunge l'altra figlia, dalla Francia. C'è Karim, cameriere tunisino: “Sono arrivato ad Aprile del 1990, il Napoli vinceva il secondo scudetto...oggi dico che ho 33 anni napoletani, perché mi sento più napoletano che tunisino: non mi piacciono i tatuaggi, ma questo Scudetto o questa data devo tatuarmeli perché sono pieno di gioia”. C'è Renata dalla Polonia assieme al figlio e alla sorella: “Siamo qui per Zielinski...abbiamo sentito che si poteva vincere lo scudetto e siamo arrivati. Stiamo vivendo la storia, una storia che domani racconteremo ai nostri figli. E' bello essere qui oggi”.


Ci sono le maglie che segnano le varie epoche, come i cerchi negli alberi in sostanza: quella del '91-'92 griffata Umbro, numero 9 “L'ha indossata Careca” assicura il possessore, ma chissà...e soprattutto chissenefrega. C'è quella gialla del '94-'95 del Napoli del compianto Boskov (quanto daremmo per un suo commento oggi?) . Ci sono, diverse, maglie dell'infausta stagione '97 -'98, quella della retrocessione dopo 33 anni, sempre sto benedetto 33: e fa bene chi la indossa per festeggiare, esorcizzando i momenti più dolorosi mettendoseli addosso, esponendoli nel momento di massima gioia.
Ci sono fuochi ovunque, discoteche improvvisate dove si balla, tifose, tifosi, pitbull e barboncini che forse riconoscendo le rispettive magliette azzurre giocano insieme invece di azzuffarsi.


E basta tirare fuori un microfono e stare zitti per venire assaliti, “Ma vuò fa n'intervista?”: perché ognuno ha da raccontare una storia.
Perché Napoli, la Napoli sensuale e accattivante che si trova tra le pagine dei libri Tahar Ben Jelloun, spesso toglie, ma qualcosa, alla fine, dà sempre: una storia da raccontare in particolare.