In attesa di Juventus-Napoli, un classico esame di laurea per chi vuole diventare campione d'Italia ed esercitare almeno per un anno l'ambita professione di primo della classe, era successo di tutto di più, in Italia e non solo, nei giorni che l'avevano preceduta. E come poteva essere diversamente.
Per la maggior parte delle squadre italiane, infatti, la partita contro i bianconeri è una semplice sfida calcistica, talora anche acerrima (vedi la Fiorentina). Per una è un derby cittadino dai sapori nostalgici e gloriosi. Per un'altra ancora (e senza una ragione convincente) addirittura il derby d'Italia. Per il capoluogo campano no. Da queste parti quella con la Juventus è, la partita dell'anno, quella della vita (che per un tifoso equivale, infatti, a una stagione calcistica). È Davide contro Golia. È il popolo dei lazzaroni contro l'oppressore sabaudo. È l'asservito contro l'asservitore, l'emigrante contro il padrone. È - di nuovo e per sempre - il dio scugnizzo Maradona contro il semidio borghese Platini.
Non c'è un prima e non c'è un dopo la sacra tenzone. Tutto passa da lì. Le amarezze non sono mai tali se si vince con la Juventus. Parimenti le vittorie - e questa, qualora venisse non farà eccezione - valgono di meno se si perde sotto la Mole. Per questo il modo in cui ci si arriva alla gara fatidica racconta sempre una storia da non omettere. E questa volta faceva ancor meno eccezione del solito.
Il Napoli era uscito dalla Champions League per colpe sue e tranelli europei travestiti da questo o quell'arbitro. Il colmo si era raggiunto con la scandalosa celebrazione pubblica operata dall'Uefa del fallo da rigore di Leao su Lozano, additato nientemeno (per quanto prontamente rimosso) quale fulgido esempio delle qualità difensive dell'esterno milanista. E mentre l'Italia intera festeggiava la nostra inopinata uscita dalle competizioni europee e si apprestava a vivere trepidante la stracittadina milanese in semifinale di Champions, come il possibile scontro in finale di Europa League tra bianconeri e giallorossi, venivano riassegnati i 15 punti meritatamente tolti agli juventini, guarda caso proprio a tre giorni dalla gara contro i partenopei.
Era così giunto il momento che il Napoli dimostrasse urbi et orbi quanto realmente valeva e zittisse, una volta e per sempre, tutti quei viscidi proclamatori del "campionato falsato". E, trovandosi, rispettasse anche la tradizione vittoriosa da Maradona là istituita. Detto fatto.