Zamprotta racconta il suo libro "La città insensibile"

Il sociologo napoletano parla di una Napoli dove la gente non si rende più conto di ciò che accade

Napoli.  

Nell’epoca di una Napoli raccontata come la città inclusiva, non indifferente e sensibile, con il Sindaco che descrive quella partenopea come una “comunità Spa (solo per amore)”, arriva con forza dirompente a squarciare il velo opaco di questa narrazione l’ultimo libro di Carmine ZamprottaLa città insensibile”, Graus Editore, 2019, con prefazione firmata da don Tonino Palmese, presidente della Fondazione Polis.

Un pamphlet che ha già nel titolo lo spirito indipendente del sociologo napoletano che dopo “Napoli capitale delle periferie: come ripensare la città tra crisi e conflitti”, torna a ragionare sulla città, sulle dinamiche urbane e sulla criminalità organizzata.

Oggi “Napoli viene presentata in un certo modo, un ritorno al vecchio mandolino, pizza e sole e ci si dimentica invece di certe situazioni” dice Zamprotta parlando di come viene raccontata oggi la città. Napoli è “insensibile perché la gente non si rende più conto di ciò che accade” e da qui nasce l’esigenza che sente il sociologo partenopeo di “elencare dei fatti, di raccontare e parlare delle faide di camorra, dell’abusivismo e di una serie di situazioni che riguardano la città

Nella sua analisi, che ha come caso paradigmatico Napoli ma che è universale, Zamprotta si sofferma sul ruolo della borghesia napoletana, sul rapporto che la Napoli bene ha con la criminalità e con i suoi affari. Una borghesia, quella napoletana, storicamente abituata a non indignarsi e a girarsi dall’altra parte. L’autore nel libro prova a pungolarla costringendola a fare i conti con le sue responsabilità. “Nel libro cito un evento, il ritrovamento da parte della polizia di uno smartphone. Nella rubrica del cellulare ci sono centinaia di numeri di telefono di professionisti partenopei. Dopo i controlli degli inquirenti è stato scoperto che quel cellulare apparteneva ad un parcheggiatore abusivo. Un episodio questo che mostra come questi personaggi che sono sempre in prima fila a gridare allo scandalo contro al malavita, in realtà si servono di queste situazioni per poter gestire le proprie attività”. Ma il ruolo della borghesia e dei professionisti napoletani non si ferma al mero utilizzo dei “servizi” quotidiani. Zamprotta partendo dalla polemica che ha tenuto banco in queste settimane dopo i vari furti a Maurizio De Giovanni, sottolinea che “il problema però è che ci si ricorda di certe situazioni solo quando coinvolgono i personaggi noti. Ci si dimentica quello che è il rapporto che c’è tra professionismo e malavita. Basta vedere tutte le attività illegali che ci sono nella città. Il commercio che viene gestito in gran parte dalla camorra. il riciclaggio di denaro sporco che avviene anche grazie all’aiuto di professionisti del settore, commercialisti partenopei che riescono a superare i controlli. Se prendiamo, ad esempio, il lungomare cosiddetto “liberato” la maggior parte delle pizzerie sono tutte attenzionate dalla magistratura e i napoletani vanno sul lungomare e finanziano, senza neanche rendersene conto, le attività della camorra”. 

In una città insensibile però anche la politica si assenta, si distrae, pensa ad altro. “La politica fino ad ora non ha fatto nulla” è perentorio Zamprotta, “la città da un ventennio a questa parte è ostaggio della demagogia. Le strade piene di buche, il trasporto pubblico che non funziona, la metropolitana da aspettare per oltre 20 minuti, è di oggi la protesta sulla linea 151 con il pullman che passa ogni ora e mezza. Però si continuano a fare le feste. La festa della pizza, della mozzarella, dei centri sociali”.

Ma la speranza anche secondo il sociologo viene dai giovani, dal recupero dei più piccoli, perché se l’età alla quale si commetto gli illeciti si abbassa bisogna essere capaci di trovare nuove forme di sostegno, di recupero e di aiuto. Si riparte da “un raccordo tra cittadini e istituzioni. Dalla scuola che dovrebbe tornare al suo ruolo primario. Quindi si riparte dal recupero dei ragazzi. Bisogna recuperare le forze sane che ci sono sul territorio. Un esempio ci viene da Scampia, dove moltissime associazioni stanno operando ma purtroppo sono spesso lasciate sole. C’è un bel fermento, la speranza è che il fermento venga preso in considerazione e venga portato avanti."

Per Zamprotta dunque una speranza c’è e “il recupero della città parte dai ragazzi e soprattutto nelle periferie. Oggi però c’è un distacco enorme tra perlifere e centro, manca correlazione e automaticamente non c’è raccordo”. Le periferia napoletane sono tante “non è solo Scampia. Ci sono San Giovanni, Barra, Socccavo, Rione Traiano che diventata la prima piazza di spaccio dopo gli arresti di Scampia. C’è un bel po’ da fare, la politica ha gli strumenti  per muoversi ma fino ad oggi si è limitata a spalmare una platina d’oro che però nasconde solo tutti i difetti della città