Non è stata uccisa ma si è suicidata Tiziana Cantone, la 31enne trovata senza vita il 13 settembre 2016, in un'abitazione di Mugnano, in provincia di Napoli. Un gesto estremo compiuto perché ormai incapace di sopportare l'onta della diffusione in rete - senza permesso e senza controllo - di alcuni suoi video privati. Dopo sette anni si chiude definitivamente il giallo su quella tragica morte e a mettere il punto è stato il gip del Tribunale di Napoli Nord che ha accolto la nuova istanza di archiviazione del sostituto procuratore Giovanni Corona, che già lo scorso anno era arrivato alle stesse conclusioni.
La madre non ha mai creduto al suicidio
Una richiesta di archiviazione alla quale però si era opposta la madre di Tiziana, Teresa Giglio, mai arresasi nel corso di questi anni. Durante l'attività investigativa, passata anche per la riesumazione del corpo e un'autopsia, non sono mai emersi elementi che suffragassero l'omicidio. Il supplemento d'indagine venne disposto nel febbraio scorso dal gip di Napoli Nord Raffaele Coppola dopo avere accolto l'opposizione dei legali della Giglio alla richiesta di archiviazione dello stesso pm Corona risalente a un mese prima. Tiziana Cantone fu trovata esanime dalla zia: la sua morte fu subito classificata come suicidio e sulla salma non venne disposta l'autopsia. La madre non ha però mai creduto a tale ipotesi, e ha combattuto ritenendo, come messo nero su bianco dal biologo forense Vincenzo Agostini, che il foulard che le stringeva il collo non potesse averla uccisa per strangolamento. Non solo.
Le perizie che smentivano l'ipotesi del suicidio
Per il consulente la posizione del corpo rendeva impossibile il "penzolamento con conseguente asfissia". Anche in relazione alla diffusione dei video venne aperta un'indagine sfociata in un processo che vide imputato l'ex fidanzato di Tiziana, Sergio Di Palo. L'uomo però venne assolto dalle accuse di falsità privata, simulazione di reato, calunnia e accesso abusivo a sistema informatico, per gli inquirenti commessi in concorso con la Cantone che però si tolse la vita prima dell'inizio del processo. Entrambi sostenevano che a diffondere i video hot sul web erano state delle persone poi risultate estranee ai fatti.
Il diritto all'oblio in rete non è stato mai del tutto garantito
Fu proprio lei a sporgere denuncia nei confronti di quelle cinque persone che riteneva colpevoli di essersi appropriate e di avere diffuso le immagini sul web. Ma emersero delle incongruenze sulla testimonianza della 31enne che, per esempio, riferì di avere perso il cellulare. Gli inquirenti, alla fine, decisero di archiviare la posizione dei cinque nei confronti dei quali era stato inizialmente ipotizzato il reato di diffamazione e di violazione della privacy. Dopo la morte di Tiziana fu la madre a proseguirne la sua battaglia nelle aule dei tribunali, anche in quelle civili per far rimuovere dai grandi colossi del web, da Facebook a Google, i video che ritraevano di Tiziana. Ottenne solo in parte il diritto all'oblio, visto che di tanto in tanto, quelle immagini tornano a fare capolino dalle pieghe del web.