È la stessa idea dei ragazzi di piazza Tienanmen, a Pechino, in Cina, nel lontano 1989.
Appena venti anni, Jan Palach, in un'altra piazza, San Venceslao, il 19 gennaio, si era dato fuoco al centro di Praga.
Uno immagina che ci sia sempre una Bastiglia e una svolta. Ma il mondo non si lascia cambiare tanto facilmente. Però è un segno che i ragazzi, i giovani, siano sempre lì in prima fila a prendersi manganellate, pugni, calci, spray urticanti e ogni tipo di violenza.
Ekrem Imamoglu, sindaco di Istanbul, è diventato il simbolo di tutto quello che in Turchia non si può fare. Alle primarie per le Presidenziali, che si terranno solo tra tre anni, 18 milioni di turchi hanno detto che lui sarà lo sfidante di Ergogan, l'autocrate che da 11 anni guida la Turchia. È stato arrestato.
Le piazze sono i luoghi, la logistica della speranza. In centomila, quasi tutte donne, a Teheran, affrontarono la temibile polizia morale di Khomeini quando lui impose per legge il velo. Molte non lo indossavano per sfida: a migliaia sono state torturate, violentate, uccise. Era il 1979. Quarantasei anni dopo ancora si ribellano. Ancora le arrestano. Ancora spariscono senza che le famiglie possano piangerne il corpo martoriato.
Una lunga spina dorsale della storia che uccide la voglia di libertà dei giovani. Un orologio della malvagità, i cui rintocchi assomigliano all'avanzare agghiacciante della lama del pendolo di Foucault, che oscilla e si abbassa scandendo, uno dopo l'altro, l'imminente e inevitabile fine della parte migliore dell'umanità.