“Mia figlia mi manca, mi sento spenta, mi sento buia. Ero orgogliosa di lei e non l’ho mai considerata un peso. Se potessi tornare indietro, non rifarei mai la stessa scelta”. Queste sono le parole di Alessia Pifferi, accusata di omicidio volontario pluriaggravato per la morte della sua adorata figlia Diana, di soli 18 mesi. Alessia è comparsa davanti alla Corte d’Assise di Milano per testimoniare nel processo a suo carico.
Alessia ha spiegato che in passato ha lasciato Diana da sola solo poche volte e per brevi periodi. Durante questi periodi, ha lasciato due biberon di latte, due bottigliette d’acqua e una bottiglia di ‘teuccio’ per Diana, pensando che sarebbero bastati. Tuttavia, il 20 luglio 2022, quando è tornata a casa dopo 6 giorni trascorsi in provincia di Bergamo con il suo compagno, ha trovato il corpicino senza vita della piccola Diana nel lettino. Alessia ha cercato disperatamente di rianimarla, ma purtroppo non c’è stato nulla da fare.
Nei sei giorni trascorsi a Leffe, in provincia di Bergamo, la donna e il compagno erano passati da Milano per un impegno di lavoro di lui, al quale lei aveva detto che la bimba era con la zia. Ma in quella occasione, la 37enne non era tornata nella sua abitazione di via Parea per occuparsi di Diana, che a quel punto era sola già da quattro giorni.
"Avevo paura di parlare. Non dissi niente e lui mi riportò a casa sua. Io mi preoccupavo di mia figlia, ma purtroppo avevo paura delle reazioni del mio compagno. Era parecchio aggressivo, una volta ha anche cercato di sbattermi contro a un vetro in una discussione", ha detto. In altri passaggi del suo esame in aula, Pifferi ha ribadito più volte che per l'ex fidanzato la bambina era "un intralcio".
Lui "diceva che le voleva bene, ma non era vero. Mi ha usata e basta". Secondo la donna, poi, sarebbe stato lui a consigliarle per primo di lasciare sola la bimba. "Parlando con le psicologhe del carcere mi sono ricordata che il mio compagno mi diceva di lasciarla sola in casa per andare a fare la spesa. Due o tre volte mi disse di lasciarla nel lettino per andare con lui al supermercato. Qui cominciai a farlo".
Presente al processo la sorella di Alessia, Viviana Pifferi, costituitasi parte civile, ha commentato dicendo che la familiare "ha recitato tutta la vita. Adesso è diventato cattivo quello di Leffe. Si è confermata: è sempre colpa di qualcun altro".
Indossando la maglietta con la foto della nipotina che ha sempre portato anche durante le scorse udienze, la sorella ha aggiunto: "ha detto che si è pentita, lo spero. Me lo auguro di cuore, ma per lei. Per me in questo momento non è possibile riallacciare i rapporti, io ripenso a quella bambina in quel lettino. Si è accorta adesso che il biberon non bastava".
È stato sentito come testimone uno psichiatra consulente della difesa, che ha ha sottolineato come dai test sia emerso che la donna "ha un ritardo mentale" e un "Qi di 40, al limite tra l'insufficienza mentale media e l'insufficienza mentale grave". La relazione, depositata dall'avvocato difensore Alessia Pontenani, sarà discussa il prossimo 10 ottobre. Il Tribunale dovrà anche decidere se sottoporre l'imputata a una perizia psichiatrica.