Riceviamo e pubblichiamo un intervento, apparso sul magazine dell'Istituto di ricerche Eurispes, a firma di Giovanni Tartaglia Polcini, consigliere giuridico del ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale – componente del Comitato scientifico dell’Eurispes.
"Che cosa ci dice la Carta delle Nazioni Unite
La Carta delle Nazioni Unite è fondata, essenzialmente, su tre princìpi e strumenti caratterizzanti:
il divieto della minaccia e dell’uso della forza contenuto nell’articolo 2 paragrafo 4;
la legittima difesa individuale e collettiva in caso di attacco armato, di cui all’articolo 51;
il sistema di sicurezza collettivo di competenza del Consiglio di Sicurezza, di cui al Capitolo VII.
Più in generale, il divieto della minaccia e dell’uso della forza nelle relazioni internazionali costituisce un principio cardine del diritto internazionale contemporaneo.
Le azioni intraprese dalla Federazione Russa, a partire dal 24 febbraio, integrano una violazione dell’articolo 2(4) della Carta, che recita «[…] I Membri devono astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza, sia contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato, sia in qualunque altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni Unite»[1]. Le principali questioni che sorgono per qualificare giuridicamente le azioni russe riguardano sia la sfera dello jus ad bellum, sia quella dello jus in bello.
Quali argomentazioni legali sono state invocate per giustificare l’impiego della forza da parte della Repubblica Federale Russa?
Come si inquadra la situazione attuale dal punto di vista del diritto internazionale umanitario?
La prima questione
In relazione alla prima questione, diverse sono le giustificazioni invocate dalle autorità russe.
A) La cosiddetta autodifesa preventiva
Una piena eccezione al divieto assoluto dell’uso della forza è rappresentata dal diritto alla legittima difesa, disciplinato dall’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, in caso di attacco armato. Tale articolo prevede che nessuna disposizione della Carta (compreso dunque il divieto ex articolo 2(4)) possa pregiudicare il diritto naturale di autotutela individuale o collettiva, nel caso di «attacco armato contro un Membro delle Nazioni Unite». Le autorità russe hanno fatto riferimento al diritto di legittima difesa, appellandosi tuttavia ad una nuance ben precisa di tale prerogativa, ovvero al cd. diritto all’autodifesa preventiva[2].
Quest’ultimo non integra però un’argomentazione accettata a livello internazionale, poiché non presenta alcuna delle precondizioni del diritto alla legittima difesa[3]:
l’immediatezza della minaccia (la legittima difesa è in risposta ad un attacco armato in corso);
la necessità della reazione (l’azione deve essere intrapresa assolutamente come extrema ratio per poter resistere e respingere l’attacco armato);
la proporzionalità: l’azione deve essere commisurata non solo all’attacco subìto, ma soprattutto al fine che persegue (difesa proporzionata all’offesa), che è quello di ripristinare la situazione precedente l’attacco.
Inoltre, l’esercizio di questo diritto deve costituire la risposta ad un attacco armato e non può, di conseguenza, essere una misura preventiva atta ad evitare un futuro, quantunque presentato come imminente, attacco armato altrui.
Il principio della legittima difesa preventiva è d’altronde stato condannato proprio dalla Russia in occasione dell’intervento degli Stati Uniti in Iraq nel 2003[4].
B) La Difesa Legittima Collettiva
Se l’addotto ontologico motivo dell’esercizio di un diritto all’autodifesa preventiva non è accettabile, anche l’argomentazione della difesa legittima collettiva non si addice al caso in esame: la Federazione Russa ha dichiarato di aver agito in difesa collettiva su richiesta delle Repubbliche Popolari di Donets’k e Luhans’k, due entità -non statali- riconosciute come indipendenti unilateralmente dalla stessa Russia[5]. Detti territori, tuttavia, costituiscono ancora regioni dell’Ucraina e non Stati dal punto di vista del diritto internazionale.
In sintesi, l’argomentazione della legittima difesa, preventiva o collettiva, non risulta invero accettabile.
C) L’addotto intervento di Peacekeeping e l’Autodeterminazione dei Popoli
Un’altra argomentazione invocata dalla Repubblica Federale Russa per derogare al divieto assoluto ex articolo 2(4) è quella dell’intervento umanitario. La Federazione Russa ha infatti anche qualificato l’azione in corso come un’operazione di peacekeeping, accusando il governo ucraino di persecuzione e atti di genocidio perpetrati nei confronti delle minoranze russe del Donbass[6].
Tuttavia, per agire attraverso lo strumento dell’intervento umanitario deve essere evidente una gross and systemic violation of human rights, ovvero una violazione sistematica e su larga scala da parte di uno stato che è unwilling or unable to protect its people[7]. Il trattamento che il governo ucraino riserva alla minoranza russa nella regione del Donbass non sembra oggettivamente qualificabile in termini di persecuzione o genocidio, come invece proposto dalla Russia. La narrazione della difesa delle minoranze russe non giustifica, peraltro, un legittimo casus belli, neanche in nome del principio di autodeterminazione dei popoli. Nel diritto internazionale il richiamo a tale principio è ammesso, infatti, solo in tre circostanze, ovvero quando risulta acclarato che i popoli siano sottoposti a dominazione coloniale, occupazione straniera o regimi razzisti (si veda l’articolo 1(4) del I Protocollo addizionale del 1977 alle Convenzioni di Ginevra[8] e l’articolo 1 del Patto sui diritti civili e politici del 1996[9]). Dunque, salvo i tre casi specifici citati, il principio della sovranità e della integrità territoriale degli Stati è inviolabile e non può declinarsi alcun “diritto alla secessione” derivante dall’autodeterminazione dei popoli.
D) La cosiddetta remedial secession
L’altro aspetto dell’autodeterminazione è di natura interna e riguarda il diritto delle minoranze di scegliere liberamente il proprio status politico e di perseguire lo sviluppo economico, sociale e culturale all’interno dello stato – come gli accordi di Minsk avevano tentato di garantire ai territori di Donets’k e Luhans’k[10].
Una parte della dottrina riconosce un diritto alla remedial secession nel diritto internazionale positivo solo in caso di intollerabili discriminazioni e di oppressione sistematica. La secessione sarebbe un estremo rimedio di cui disporrebbe la minoranza nel caso in cui le fosse sistematicamente preclusa la partecipazione alle scelte politiche, economiche e sociali dello Stato madre (si veda sul punto Reference re Secession of Quebec 1998 2 S.C.R. 217), circostanze assenti nel caso di specie. Né la Missione speciale di osservazione in Ucraina dell’OSCE[11], né la Missione di monitoraggio dei diritti umani dell’ONU in Ucraina[12], avvalorano tali supposizioni nei loro rapporti di valutazione.
Va anche evidenziato che, sebbene la legge sulla lingua dell’Ucraina sia stata oggetto di critiche, ciò non può legittimare le accuse della Russia e l’applicazione della cosiddetta remedial secession.
Questa teoria è stata appoggiata in passato da alcuni paesi presso la Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) in relazione alla dichiarazione di indipendenza del Kosovo dalla Serbia[13]. Tuttavia, va rilevato che la stessa Federazione Russa ha dichiarato, in quella occasione, che il diritto alla remedial secession è limitato a circostanze estreme, come un vero e proprio attacco armato da parte dello Stato madre, che minaccia l’esistenza del popolo in questione[14] (si vedano le osservazioni della Russia sottoposte alla ICJ nel Kosovo Case, paragrafo 88).
In sintesi
Tutto ciò considerato, la condotta della Repubblica Federale Russa in Ucraina costituisce un atto di aggressione che viola il noyau dur dell’articolo 2(4) della Carta delle Nazioni Unite, norma di diritto cogente.
La parte di jus cogens prevista da tale articolo fa riferimento, in particolare, ad un impiego massivo della forza: le azioni russe rientrano nella definizione di attacco armato/aggressione nelle relazioni internazionali ex articolo 3 Risoluzione 3314 (XXIX) dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite[15], aggressione che può essere definita tale anche indipendentemente dall’esistenza di una dichiarazione di guerra.
La seconda questione
Passando ad esaminare la seconda questione, dal punto di vista dello jus in bello, la situazione delineata tra Federazione Russa ed Ucraina può essere qualificata come conflitto armato internazionale. Si deve discorrere di conflitto armato internazionale anche per quanto riguarda le operazioni militari tra l’Ucraina e le entità di Donets’k e Luhans’k, non potendosi qualificare il conflitto in parte qua come guerra civile, poiché le repubbliche separatiste sono sotto l’effettivo controllo russo. È anche importante sottolineare – in detto quadro – come la Bielorussia possa essere considerata un co-aggressore: secondo l’articolo 3 ex Risoluzione 3314 (XXIX) dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, è considerata infatti aggressione l’azione di uno Stato che permette che il suo territorio, che ha messo a disposizione di un altro Stato, sia utilizzato da questo altro Stato per perpetrare un atto di aggressione contro un terzo Stato.
Gli strumenti che la comunità internazionale ha nelle sue mani per rispondere a tali violazioni sono numerosi.
A) Il diritto alla difesa legittima
La prima opzione possibile sarebbe quella di invocare il sopracitato diritto alla difesa legittima ex articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite. Chiaramente già esercitato dall’Ucraina sotto attacco, tale diritto potrebbe, in astratto, tradursi in autodifesa collettiva se applicato da Stati terzi. Questi potrebbero infatti, con il consenso ucraino, decidere di avvalersi di tale diritto, senza necessità di richiedere la previa autorizzazione da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (CdS).
Il meccanismo ex articolo 51 prevede, però, che l’azione di legittima difesa individuale e collettiva sia immediatamente comunicata al CdS, per poi cessare nel momento in cui quest’organo adotti le misure necessarie per il mantenimento ed il ristabilimento della pace e della sicurezza internazionale[16]. Nessun Paese ha però inteso, ed intende, agire allo stato in tal senso.
B) Il sistema di sicurezza collettivo delle Nazioni Unite
La seconda via percorribile è quella ricorrere al sistema di sicurezza collettivo delle Nazioni Unite, che prevede azioni del Consiglio di Sicurezza attivabili in caso di minaccia alla pace, violazione della pace o atti di aggressione (Capitolo VII della Carta).
Il CdS, allo scopo di prevenire un aggravarsi della situazione, potrebbe infatti rispondere con uno spettro di misure provvisorie ex articolo 40 della Carta (come ad esempio un invito al cessate il fuoco, un appello al ritiro delle truppe, un last warning), per poi passare a raccomandazioni o misure non implicanti l’impiego della forza armata (interruzione totale o parziale delle relazioni economiche e delle comunicazioni ferroviarie, marittime, aeree, postali, telegrafiche, radio ed altre, e la rottura delle relazioni diplomatiche ex articolo 41 della Carta) o al limite misure implicanti l’impiego di forza armata[17] (peace enforcing operations ex articolo 42 della Carta). Il diritto di veto esercitato dalla Federazione Russa in qualità di Membro permanente in seno al CdS rende impossibile passare attraverso questo organo.
È sintomatico, a tale riguardo, il fatto che l’attacco all’Ucraina sia iniziato proprio mentre era in corso una riunione del CdS su sollecitazione ucraina[18]. La Russia ha già votato contro una risoluzione del CdS che avrebbe “deplorato nella maniera più assoluta” l’invasione dell’Ucraina[19]. La Cina, inoltre, ha deciso di astenersi.
C) L’iniziativa della Assemblea Generale delle Nazioni Unite
In assenza di riposta in difesa legittima da parte di Stati terzi o in mancanza di iniziativa del CdS, altre sono le vie percorribili. Si potrebbe fare ricorso ad iniziative a livello dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Ad esempio, l’impiego della risoluzione 377 A (V), “Uniting for peace”, adottata dall’Assemblea Generale il 3 novembre 1950, in caso di impasse a livello del Consiglio di Sicurezza conferirebbe i poteri ex Capitolo VII e VIII all’Assemblea. Tale pratica non sembra ancora essersi affermata come consuetudine a livello internazionale, mancando sia l’elemento della diuturnitas (vi è stata, per ora, una limitata prassi) che quello della opinio iuris ac necessitatis (visibile dalla persistente opposizione di parte della comunità internazionale). Ciononostante, gli Stati Uniti hanno annunciato la volontà di trasferire la risoluzione di condanna dell’aggressione militare nei confronti dell’Ucraina all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, dove la Federazione Russa non ha diritto di veto[20]. In data 28 febbraio l’Assemblea Generale si è riunita in una rara sessione di emergenza[21] (l’undicesima della storia) convocata dal Consiglio di Sicurezza.
Secondo la risoluzione “Uniting for peace”, una “emergency special session” può essere convocata dal CdS entro 24 ore «[…] se il Consiglio di sicurezza, in mancanza di unanimità dei membri permanenti, non dovesse adempiere al suo compito primario di mantenere la pace e la sicurezza internazionali, qualora si profilasse una qualsiasi minaccia per la pace, violazione della pace o atto di aggressione». Sotto tali circostanze, «l’Assemblea Generale dovrà occuparsi, immediatamente, della questione e indirizzare le opportune raccomandazioni ai Membri per deliberare misure collettive da adottare, incluso, se necessario, nel caso di una violazione della pace o di atti di aggressione, l’uso di forze armate, per mantenere o ripristinare la pace e la sicurezza internazionali»[22].
La sessione si è tenuta tra il 28 febbraio ed il 2 marzo. Ieri si è tenuta la votazione di una risoluzione nella quale la comunità internazionale:
condanna fermamente l’aggressione russa come violazione dell’articolo 2(4) della Carta;
chiede che la Federazione Russa cessi, immediatamente, l’uso della forza contro l’Ucraina e si astenga da qualsiasi ulteriore minaccia o uso illegale della forza contro qualsiasi Stato membro;
chiede che la Federazione Russa ritiri immediatamente, completamente e incondizionatamente, tutte le sue forze militari dal territorio dell’Ucraina entro i suoi confini internazionalmente riconosciuti;
deplora la decisione del 21 febbraio 2022 della Federazione Russa relativa allo status di alcune aree delle regioni di Donets’k e Luhans’k dell’Ucraina come una violazione dell’integrità territoriale e della sovranità dell’Ucraina non conforme ai princìpi della Carta.
La risoluzione, sostenuta da 141 dei 193 membri dell’Assemblea, ha ricevuto la votazione contraria soltanto di Russia, Bielorussia, Eritrea, Corea del Nord e Siria. Trentacinque membri, tra cui la Cina e l’India, si sono astenuti. Il testo della Risoluzione riafferma, inoltre, l’obbligo degli Stati membri di non riconoscere alcuna acquisizione territoriale illegittima risultante da minaccia o uso della forza, con particolare riferimento alla sovranità e all’integrità territoriale dell’Ucraina. Sebbene le risoluzioni dell’Assemblea Generale non siano vincolanti, hanno un peso politico non indifferente, ed il voto di mercoledì contribuirà ad aumentare l’isolamento internazionale della Russia".