Benevento non è Napoli (nè Sassuolo): fare calcio non è uguale ovunque

Per fare paragoni bisogna guardare alle realtà simili al Sannio: i dati sono eloquenti

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Benevento.  

Nel dibattito che si è creato in queste ore attorno al Benevento Calcio, è emerso anche un interessante spunto per un'analisi meramente socioeconomica (applicata al calcio, naturalmente).
Uno spunto che parte da un errore (a parere di chi scrive madornale) che sta alimentando la discussione: “il calcio è uguale ovunque, da nord a sud”.

Un assunto che vuol porsi come pietra angolare di tutta una serie di altri ragionamenti che vogliono arrivare alla fin fine a una conclusione riduzionista e relativista: “Così è ovunque”. Sbagliatissimo.
Fare calcio a Napoli, col Napoli, non è fare calcio a Benevento, impossibile paragonare Roma (in entrambe le sue componenti) Milano, Torino con Benevento, errore enorme paragonare anche il fare calcio nelle piccole realtà di provincia del centro nord col farlo nelle piccole realtà del centrosud. Sia dal punto di vista delle dinamiche meramente sportive che socioeconomiche.

Non lo dice chi scrive, lo dice la storia, lo dicono i fatti, lo dicono i numeri.
Benevento è, notoriamente, un capoluogo di una provincia piccola delle aree interne del sud: volendola paragonare ad altre realtà simili, anche allargando un po' il campo in maniera impropria per arricchire il campione, vanno citate Avellino, Caserta, Matera, Potenza, Foggia, Campobasso, Isernia, Enna, Cosenza, magari Frosinone.
Ebbene i risultati sportivi di queste realtà sono facilmente verificabili: tolto il Frosinone (e appunto il Benevento), il resto è per la stragrande maggioranza un discorso legato alla Serie C, o al miracolo di essere riusciti a conservare la Serie B per il Cosenza. Troppi elementi per essere un dato meramente casuale...

Idem in termini di appetibilità: è noto che ad oggi molte società di calcio, anche piccole, in Italia sono appetite da fondi di investimento stranieri.
E' accaduto negli ultimi mesi che siano state acquisite ad esempio il Venezia, il Genoa, il Parma, il Cesena, la Pistoiese, la Spal, il Como, la Triestina... non ce n'è una del sud, praticamente.
Ci sarebbe il Campobasso, in mano a un fondo americano ma attento a non fare il passo più lungo della gamba: l'ultima stagione si è conclusa col 13esimo posto in serie C e la volontà sembra quella di puntare su giovani e non strafare (e intendiamoci, restare tra i professionisti e conservare la categoria è già assolutamente onorevole per Campobasso).

E la storia recente è eloquente: negli ultimi 10 anni sono riuscite ad affacciarsi in Serie A tre volte il Crotone e 2 volte a testa Frosinone e Benevento. Il club calabrese oggi è finito addirittura in C, quello ciociaro negli ultimi due campionati non è arrivato neppure ai playoff, il Benevento, nelle sue 4 partecipazioni al campionato di serie B negli ultimi 6 anni, ha centrato i playoff tre volte su quattro vincendoli una volta, e in un caso ha stravinto il campionato.

Se guardiamo al centro - nord, per contro, senza fare ricerche ma andando tranquillamente a memoria ci accorgiamo come negli ultimi dieci anni si siano affacciati sul massimo palcoscenico nazionale tantissime realtà di provincia dallo Spezia al Carpi, dall'Empoli al Sassuolo, dal Chievo alla Spal, dal Novara al Brescia, dal Pescara al Cesena dal Parma al  Siena, omettendo di citare i più felici e classici esempi della provincia calcistica italiana che sono Udinese e Atalanta...e non sono certo squadre del sud.

Dunque, come il fare impresa ha, in maniera riconosciuta, coefficienti di difficoltà totalmente diversi a seconda che ciò avvenga in Emilia o nel Fortore, così è pacifico che fare calcio (e ottenere risultati) ha le stesse regole. E quindi, che il calcio è uguale da Caltanissetta a Bolzano, è un assunto, semplicemente, sbagliato.