I fuochi e la festa in onore di San Barbato al centro di un incontro convocato per domenica prossima dal parroco don Filippo Figliola. Rappresentanti istituzionali, della parrocchia e delle forze dell’ordine discuteranno dell’importante momento religioso, forse quello più importante che anima la comunità castelvenerese. Al centro di tutto la tematica “fuochi”, la secolare tradizione della gara pirotecnica che segna la ricorrenza del 19 febbraio. Negli ultimi anni vero “grattacapo” del comitato festa, considerate le tante difficoltà che si incontrano dal punto di vista logistico. Difficoltà dovute soprattutto a motivi di sicurezza. Parliamo di un aspetto che va interessando diverse feste patronali: si pensi, ad esempio, a quanto registrato a Salerno, nel settembre scorso, in occasione della ricorrenza di San Matteo. Ed a cui le varie comunità rispondono in modo diverso: è il caso di citare la vicina Cerreto Sannita, dove la festa di Sant’Antonio viene tradizionalmente accompagnata dai spari della “batteria” che si consumano direttamente nella piazza dove si affacciano la stessa cattedrale, esercizi commerciali e la caserma dei carabinieri. Ed è questo un argomento che anima la comunità. Un errora quello di trasformare il dibattito in un “ring”, uno spazio dove mettere in scena lo scontro tra chi si dice convinto che è l’ora di mettere da parte la secolare tradizione dello sparo dei fuochi e tra coloro che invece sottolineano l’importanza di mantenere in vita tale usanza. L’argomento, invece, deve rappresentare un importante momento di riflessione, con la comunità chiamata ad interrogarsi sull’importanza del tema, tenendo ben presente che un popolo svanisce quando perde identità e tradizioni. Una riflessione su una dialettica quanto mai attuale, che si coglie con evidenza nelle incisive parole scritte dal sociologo Francesco Alberoni. “Le nostre scuole elementari e medie - accusa lo studioso - non riescono più a trasmettere ai giovani la nostra tradizione culturale. La maggior parte degli studenti che arriva all'università non sa più nulla di storia e di filosofia. Non ha più alcun rapporto con la tradizione religiosa e classica. Ma un popolo che perde la sua identità e la sua tradizione culturale - sottolinea Alberoni - si disintegra, svanisce. Come sono svaniti tutti i popoli occidentali antichi. Tutti, meno gli ebrei. Dopo la morte di Salomone il regno del nord, attaccato dagli assiri, è stato assimilato. Invece la gente del regno del sud, anche portata prigioniera a Babilonia, ha conservato la sua fede e i suoi costumi. Grazie a questa fedeltà gli ebrei sono stati capaci di sopravvivere per millenni alla dispersione e alle persecuzioni. Anche noi, se vogliamo fronteggiare la globalizzazione e la sfida della modernità, dobbiamo conservare e rafforzare la nostra identità storica e la nostra personalità. Gli esseri umani hanno bisogno di una comunità in cui vivere, di radici, di una tradizione a cui ispirarsi. Hanno bisogno di sforzarsi, di spendersi, di lottare. Hanno bisogno di dedicarsi a una idea, o alla patria, o alla famiglia, o all'arte, o alla politica, a qualcosa o qualcuno che li trascende. L'individuo isolato - conclude - è un fuscello in balia delle correnti, euforico quando ha successo e depresso alla prima difficoltà che incontra”. E’ su questo che la comunità è chiamata ad interrogarsi, a riflettere sull’effettiva valenza di una secolare tradizione che forse rappresenta l’espressione identitaria più forte del culto dei veneresi verso il proprio concittadino più illustre.
di Pasquale Carlo