Il gip Gelsomina Palmieri ha accolto la richiesta del sostituto procuratore Maria Gabriella Di Lauro ed ha fissato il giudizio immediato. Se la difesa, rappresentata dall'avvocaato Antonio Leone, non farà ricorso a riti alternativi entro quindici giorni, si aprirà il prossimo 2 novembre, dinanzi al primo collegio del Tribunale, il processo a carico di Raffaele Iuliano, 31 anni, e della sorella, Antonietta Troisi, 23 anni, di Benevento, accusati di concorso nel tentato omicidio (e di detenzione illegale e porto in luogo pubblico di un'arma) di A.M., 32 anni – è assistito dall'avvocato Vincenzo Sguera -, centrato alla coscia destra da una fucilata.
L'episodio risale allo scorso 10 maggio quando i due, a bordo di una Seat Leon, avevano raggiunto il bar di via D'Azeglio in cui si trovava la vittima. Secondo la ricostruzione operata dai carabinieri, la donna sarebbe entrata per prima nel locale e si sarebbe avvicinata al 32enne, urlandogli che non avrebbe più dovuto offenderla. Dietro di lei Iuliano che, brandendo un fucile monocanna da caccia, glielo avrebbe puntato al torace, invitandolo a ripetere l'espressione che avrebbe usato nei confronti della familiare.
Il 32enne si era alzato ed aveva cercato di reagire, ingaggiando una colluttazione con Iuliano, poi era stato colpito. Soccorso, era stato trasportato al Rummo e giudicato in prognosi riservata.
L'attività investigativa, supportata dall'analisi delle immagini di una telecamera installata nell'attività commerciale e dalle dichiarazioni di alcune persone, era sfociata nel fermo di entrambi e nel loro trasferimento in carcere. Comparsi dinanzi al giudice per l'udienza di convalida, avevano dato la loro versione sui fatti, indicando, in particolare, quello che a loro dire sarebbe stato l'antefatto del gesto.
Punto di partenza il legame sentimentale tra la donna e il 32enne: un rapporto andato avanti per un anno, che lei avrebbe poi deciso di interrompere perchè stanca delle presunte vessazioni che avrebbe subito, trasferendosi a Reggio Calabria. Una volta tornata in città, sarebbe stata costretta a fare ancora i conti con le pressanti attenzioni dell'uomo, fatte di gelosia e di presunte minacce di morte. La 23enne aveva inoltre raccontato che la sera precedente a quella del ferimento, il suo fidanzato sarebbe stato picchiato dal 32enne, che gli avrebbe anche detto che, se avesse incrociato Antonietta, l'avrebbe ammazzata: parole che lei aveva riferito al fratello.
Il gip Palmieri aveva lasciato lui in carcere e concesso i domiciliari ad Antonietta, con una ordinanza nella quale aveva sottolineato che, “sebbene le dichiarazioni della Troisi siano meritevoli di ulteriori approfondimenti in ordine alla sua effettiva conoscenza della disponibilità dell'arma da parte del fratello, allo stato non risultano idonee a modificare la ricostruzione dei fatti operata dalla Procura e sostanzialmente confermata dagli indagati, almeno con riferimento all'inequivoco dato fattuale”
E ancora: “E' evidente che l'azione era stata chiaramente preordinata, così come si evince dalla circostanza che gli indagati abbiano raggiunto la persona offesa già armati”. Quanto al pericolo di fuga che aveva supportato il fermo del Pm, sottolinea che “nel caso di specie di specie, appare indubbio che gli indagati potessero far perdere le loro tracce per sottrarsi alle necessarie misure contenitive della loro libertà personale, rendendo, così assolutamente problematico il loro successivo reperimento. In particolare essi, subito dopo aver commesso il fatto, si davano precipitosamente alla fuga a bordo dell'autovettura condotta dalla Troisi, facendo perdere le loro tracce e rendendosi del tutto irreperibili. Infatti le perquisizioni poste in essere presso le abitazioni o luoghi nella loro disponibilità davano esito negativo mentre le utenze cellulari degli stessi risultavano irraggiungibili. Né i predetti facevano rinvenire l'arma del delitto”.