E' un intervento dedicato alle vittorie alle Olimpiadi, e a ciò che significano per il nostro Paese, quello dell'avvocato Gino De Pietro
"Il motto olimpico presenta tre parole latine: citius, altius, fortius: più veloce, più in alto, più forte.
L’Italia, grazie alle vittorie sensazionali nei 100 metri piani e nel salto in alto maschili, si colloca in vetta al mondo nelle due specialità che consacrano l’atleta che salta più veloce (per cui citius) e l’atleta che salta più in alto (perciò altius).
Non era mai accaduto, probabilmente nessuno credeva, dopo decenni di predominio statunitense e giamaicano, che potesse accadere, ciò nonostante è accaduto.
Sessantuno anni dopo la vittoria di Berruti nei 200 metri piani alle Olimpiadi di Roma 1960, l’Italia porta a casa la medaglia d’oro più prestigiosa, quasi il simbolo, delle Olimpiadi, quella di cui si parla ben oltre la chiusura dei giochi e consacra l’Italia come potenza mondiale nell’atletica leggera, da cui sembravamo spariti, e nel suo settore più amato dal grande pubblico: la velocità.
Tanti anni dopo Pietro Mennea, che detiene ancora il record europeo sui 200 metri piani, l’Italia torna a far parte dell’elite dell’atletica mondiale.
Nella stessa serata, a pochi minuti di distanza, l’altista azzurro vola in vetta al mondo e ci regala la medaglia d’oro che simboleggia la seconda parola del motto: altius.
Nel 1960 l’Italia era un paese che si stava magnificamente riprendendo da una dittatura ventennale e una guerra rovinosamente persa. Lo sviluppo economico era diventato un “boom” e l’Italia marciava veloce, con ritmi di crescita che farebbero invidia anche alla Cina, costruendo autostrade per collegare i centri della nostra lunga penisola, case per la gente comune, scuole per i ragazzi che avrebbero costruito il suo futuro. Era un’Italia che sperava, investiva, cresceva e sorrideva al suo futuro: la musica e i balli ne sono ancora oggi un lascito.
L’Italia di oggi, che ha vinto gli Europei di Calcio alcune settimane fa, dopo 53 anni e che ieri si è piazzata ai vertici assoluti dell’atletica leggera, viene da due decenni di stagnazione-recessione e da due anni di crisi pandemica.
Non è un’Italia che sorride al suo futuro, è un’Italia che esporta cervelli, che soffre di alta disoccupazione, alto debito pubblico, bassa produttività nei settori innovativi, scarsi investimenti, emigrazione interna, poca fiducia. Il cinema, la letteratura, la musica non sorridono, anzi, e sono lo specchio di una società che appare priva di prospettive e di speranze.
Eppure quest’Italia così massacrata, così sfiduciata, così in crisi, vince e fa sognare. È forse un segno di ripresa, di rinascita, di inversione di rotta?
È quello che ognuno di noi, credo, spera e auspica: un paese che colga l’occasione offerta dal piano nazionale di ripresa e resilienza per ricominciare a guardare al futuro, a investire nei giovani e nel nostro paese che ha grandi capacità e risorse per restare ai vertici mondiali non solo nello sport che altro non è che lo specchio della vita reale.
Guardiamo all’esempio di questi campioni, che si sono realizzati lavorando sodo, cercando la loro affermazione grazie ai meriti e agli sforzi profusi e non per appartenenze o rendite di posizione e forse riscopriremo il gusto di vivere la nostra vita pienamente e con gioia.
All’Italia manca solo di realizzare la terza parola del motto olimpico “fortius”, con maggior forza, ma per questo non basta la vittoria di un pugile o di un lottatore o di un pesista, è necessario lo sforzo congiunto nella nazione.
È il mio auspicio in questo inizio di agosto così radioso".