Revocata dal gip Vincenzo Landolfi la misura della sospensione dall'esercizio dei pubblici uffici che aveva disposto per Maria Cantone (avvocato Angelo Leone), all'epoca dei fatti assistente capo coordinatore della Digos.
La decisione, sollecitata dalla difesa, è stata adottata dopo l'interrogatorio di garanzia, alla luce del trasferimento dell'indagata, stabilito dal Questore nello scorso gennaio, dalla Digos all'Ufficio prevenzione generale e soccorso pubblico, dove non svolge servizi di ordine pubblico esterni.
Dunque, non esiste più, sul versante delle esigenze cautelari, il pericolo di reiterazione delle condotte – truffa (per circa 480 euro), falso e omissione in atti di ufficio - che le sono state contestate, relative alle attestazioni di entrata ed uscita dei mezzi e alle ore di straordinario.
Misura confermata, invece, per Giovanni Lollo (avvocato Marcello D'Auria), ispettore superiore presso l'Ufficio prevenzione generale e soccorso pubblico, anch'egli già assegnato ad un altro incarico, che, a differenza della collega, risponde anche delle ipotesi di peculato ( uso ritenuto improprio di auto e computer) e rivelazione di segreti di ufficio.
Come anticipato da Ottopagine venerdì scorso, coinvolti una inchiesta del sostituto procuratore Assunta Tillo e della Digos , entrambi avevano respinto gli addebiti quando era comparsi dinanzi al giudice: in particolare, Cantone aveva richiamato, per sottolineare la correttezza dei suoi comportamenti, una presunta autorizzazione del Questore, che durante il lockdown del 2020 (a suo carico episodi tra marzo e maggio, per un importo complessivo di circa 480 euro ), d'intesa con le rappresentanze sindacali, avrebbe chiesto al personale turni di lavoro a gruppi dalle 8 alle 20, con la possibilità di anticipare di un'ora l'orario di inizio e di posticipare di due quello della conclusione, per non perdere lo straordinario programmato.
Da parte sua, Lollo ( per lui truffa e tentata truffa sullo straordinario per 150 euro complessivi) aveva rivendicato di aver fatto sempre più del dovuto, e solo per motivi di ufficio.
Aveva escluso di aver usato l'auto di servizio per fini personali, aveva motivato il possesso di un computer che gli era stato sequestrato in casa durante una perquisizione con la circostanza che il giorno successivo sarebbe stato in smart working.
Inoltre, aveva precisato di aver fatto i controlli incriminati,spiegando l'accesso alla banca dati con ragioni di ordine pubblico legate alle richieste che gli arrivavano da un ex collega, preoccupato per il susseguirsi di furti nel centro della provincia di cui era consigliere comunale con delega alla sicurezza. Da qui la ricerca di informazioni sulle targhe di alcune macchine sospette agli occhi di un poliziotto in pensione per il quale, al pari di altri due, il Pm non aveva proposto alcuna misura.