L'ultima follia di Foti, così sprofonda la città

Mi dimetto, non mi dimetto, mi ricandido. Il contorno è il vuoto mediocre dei partiti.

L'assenza totale di una visione. E l'Avellino migliore si tiene alla larga dall'agone politico...

Avellino.  

 

di Luciano Trapanese

Su Paolo Foti, sindaco di Avellino, c'è già una vasta letteratura. Che riguarda il suo mandato di primo cittadino, ritenuto da alcuni “il peggiore di sempre”. Non ci piacciono le classifiche. E ognuno appartiene alla sua epoca. Certo, Foti non ha amministrato in un periodo facile: pochi fondi, crisi economica, città già allo sbando. Non ci interessa soffermarci su questioni politiche. Lo fanno già in tanti, e con alterne fortune.

La questione che ci riguarda è il personaggio Foti. O almeno, quello che viene fuori da questo suo ultimo turbinoso e barcollante periodo. Un saliscendi da montagne russe tra decisioni in perenne contraddizione tra loro che ne segnalano la difficoltà evidente. Ma non solo, mettono a nudo l'incertezza palese e l'assenza di quelle altre ma essenziali caratteristiche che dovrebbero essere la base di partenza per chi vuole cimentarsi in un ruolo pubblico. Non la “faccia tosta”, quella magari c'è. Ma la capacità di elaborare strategie che gli consentano di superare le difficoltà (sempre in agguato) e quel fuoco amico che gli arriva addosso dal suo stesso partito.

Il buon Foti ha confessato via sms la sua intenzione di andare via. Mollare. Stanco di tutto. E in successivi sfoghi ha anche ribadito che questi due anni gli hanno regalato più amarezze che soddisfazioni. Un periodo nero, da dimenticare. E certamente – riteniamo – da non ripetere.

Fin qui siamo ancora nella logica. Tutto sommato (anche se certe considerazioni non dovrebbero essere diffuse con i messaggini), molti sono d'accordo. E – a dire il vero – quell'ammissione, quel momento di umana ma comprensibile debolezza, lo ha anche reso più “vicino”. O comunque, meno distaccato, freddo, algido: che in fondo sono altri difetti che non gli consentono di essere definito l'amministratore ideale per una città come Avellino.

Finalmente, ci siamo detti tutti. Foti ammette, per demeriti suoi e del suo partito, di aver deluso prima se stesso e poi i cittadini.

Sbagliare è umano. Rendersene conto e fare ammenda non è da tutti. Confessare un fallimento è impresa ardua, soprattutto per un politico (l'alibi è sempre dietro l'angolo). Ok, Foti non era adatto al ruolo, se n'è accorto. Ed è vero, chi avrebbe dovuto affiancarlo ha fatto di tutto per creargli difficoltà.

Poi cambia lo scenario. Eppure Foti è lo stesso delle dimissioni annunciate via sms. Sono passate solo poche ore, forse uno, due giorni. «Ma quali dimissioni?, resto qui». Beh, direte: ha cambiato idea. Può capitare. Forse l'annuncio delle dimissioni era uno sfogo, l'emozione di un momento. E già qui, quell'umana solidarietà alimentata dall'ammissione di impotenza evapora. La città è decisamente fuori controllo, ma continua. Non fa marcia indietro. Anche se dal Pd non sono arrivati poi quei segnali di distensione che un gesto forte come il bye bye a tutti e nuove elezioni sembrava prefigurare.

Non è cambiato nulla: il sindaco ha ammesso il fallimento e poi ha fatto marcia indietro. Risultato: la confusione amministrativa è diventata caos, la disaffezione dei cittadini qualcosa di peggio.

Il capolavoro si consuma qualche giorno dopo, quando Paolo Foti dichiara in pubblico: «Dimissioni? Non ci penso proprio: potrei ricandidarmi». E qui siamo prossimi alla patologia psichiatrica. Ma come?, nel giro di una settimana si passa dalle dimissioni («sono stati due anni ricchi di delusioni e amarezza»), al ritiro delle dimissioni (che può anche essere una scelta di pura opportunità politica), alla ricandidatura...

E' sconcertante, spiazzante. Racconta uno stato confusionale. Alimentato dall'insana voglia di protagonismo (per un timido dichiarato), dall'ebbrezza del potere, e dall'assoluta inconsapevolezza di quello che accade intorno: il vuoto che ha creato questa amministrazione, l'indifferenza diffusa, i problemi irrisolti che si sono accavallati, i contrasti insanabili con il partito che lo ha candidato. E soprattutto, la delusione di tanti cittadini che hanno dato il loro voto. In questo scenario – che pure è evidente – come fa Foti a ritenere possibile una sua ricandidatura? In base a quali arzigogolati ragionamenti arriva alla conclusione che questi due anni fallimentari non si sommeranno agli altri due che restano fino alla fine del suo mandato?

A dire il vero il quadro nero è ancora più nero se si immagina il dopo Foti. Arriverà qualcuno più “comunicativo”, più brillante, più abile nel districarsi tra le trappole che fisiologicamente costellano l'amministrazione di una città. Ma all'orizzonte non si vede nessuno capace di ribaltare la situazione. Di imporre un cambio di marcia. Di governare un capoluogo con la fantasia e la visione necessaria in un periodo di crisi. E soprattutto i partiti, gli stessi partiti che hanno contribuito a rendere l'esperienza Foti un fallimento restano lì. Ancorati a logore logiche. Le stesse che hanno allontanato dall'agone politico le migliori menti di questa città, lasciando campo libero all'improvvisazione e alla mediocrità.

Ci spiace ammetterlo. Ma è così. Se non si trova il modo di coinvolgere di nuovo chi si è allontanato con rassegnato mal di stomaco dalla vita amministrativa per dare un senso alla sua voglia di fare in tante associazioni che alimentano davvero la “politica” cittadina, sarà tutto inutile. Bisognerebbe chiedere ai molti mestieranti un passo indietro. Chi sarà disposto a farlo?

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