Pd, altro che congresso straordinario: chiamate l'Esorciccio

Soltanto una grossa risata li seppellirà rispedendoli da dove sono venuti

Avellino.  

A via Tagliamento, alla fine, si erano decisi a invocare entità superiori. E siccome quella non era la sede di un partito ma di una macchietta, avevano dovuto affidarsi all'esorciccio.

Era stato così che, nottetempo, Gianluca Festa, Umberto Del Basso De CaroLivio PetittoEnzo De LucaRosetta D'Amelio e Roberta Santaniello si erano disposti in cerchio attorno al tavolo, proprio sotto la gigantografia della buonanima di Alcide De Gasperi, che da anni, inutilmente, chiedeva di essere staccato da quella parete, per lui un muro del pianto, perché, ogni volta, era costretto a subirsi le meglio idiozie degli “irpinesi” che impunemente continuavano a citarlo.

La seduta spiritica aveva subito rischiato di andare a monte perché tutti i protagonisti non potevano stringersi le mani tanto era lo schifo. E tutti si guardavano chi di sguincio, chi sottecchi, chi perfino in cagnesco.

Era stato Umberto De Caro a rompere gli indugi esordendo: “...aglio, fravaglio, fattura ca nun quaglio...”.

Rosetta D'Amelio gli aveva risposto ”...corna, bicorna, capa r’alice e capa r’aglio...”, facendo gesti brutti brutti con tutt'e due le mani.

Sciò sciò ciucciuvè, uocchio, maluocchio… funecelle all’uocchio…”, aveva alzato la voce Petitto, guardando Enze De Luca e indicandogli la via della porta.

In un angolo della stanza, solo, sconfortato, senza nessuno che gli rivolgeva più la parola, con un fiammifero in mano c'era Peppino Di Guglielmo, un caso umano unico in Italia. S'era ritrovato segretario eletto con una maggioranza passata all'opposizione e che un giudice aveva fatto tornare maggioranza mettendo lui all'opposizione della sua ex maggioranza.

Si chiedeva quanti altri giorni sarebbe durato, visto che adesso anche la sua ex opposizione, che lo aveva sostenuto come maggioranza, ma che un giudice aveva relegato all'opposizione di se stessa, lo avrebbe ben presto scaricato invocando un “congresso straordinario”.

Era stato Gianluca Festa che, in un attimo di pura umanità, per aiutarlo nel conto alla rovescia, gli aveva passato il pallottoliere con il quale aveva fatto anni prima la sceneggiata davanti la porta di via Tagliamento che gli avevano fatto trovare chiusa, cambiando la serratura.

Enze De Luca era sotto choc. Nel giro di un mese gli avevano tolto tutto. Non teneva più niente. Neanche nu “iuoco” o 'no “strummolo” pe pazzià. Picchiava i pugni sul tavolo ripetendo “... diavulillo diavulillo, jesce a dint’o pertusillo… sciò sciò ciucciuvè… jatevenne, sciò sciò…”.

Solo Roberta Santaniello continuava a ridere, guardando tutti divertita. Proprio non riusciva a capire: aveva lasciato a casa le istruzioni sull'uso che ogni giorno le scrivevano.

La cosa era andata avanti per ore. Poi, da dentro le pareti, s'era sentito qualcuno che grattava. Erano i “monacielli”, le anime delle cose buone che in quegli uffici non s'erano mai fatte. Richiamate dagli scongiuri prima a decine, poi a centinaia. E tutti insieme avevano preso a bisbigliare: “Iatevenne, iatevenne, iatevenne”.