"Il sistema sanitario nazionale ed i piani di attuazione regionale nel tempo hanno modificato la geografia organizzativa sul territorio, modificando assetto, gestione, percorsi di urgenze ed emergenze. Tutto questo, molto spesso modificando i principi ispiratori e la filosofia della riforma sanitaria, con atteggiamenti e scelte spesso ondivaghe, quasi sempre contraddittorie, rispetto alla scelta politica iniziale, ed alla letteratura e casistica sulla acuzie.
Si è voluto trasformare il sistema sanitario nazionale da capacità di servizio e di assistenza, ad un sistema dove la preminenza non è la persona, la sua cura e salvezza, ma il calcolo ragionieristico al fine di contenere costi e spese quasi come se la salvezza, la cura e la prevenzione della salute delle persone potesse essere commisurata ad un prodotto di un’azienda come un cioccolato, un vestito, un’auto o un paio di scarpe". E' quanto scrive in una nota Tony Lucido da Sant'Angelo dei Lombardi.
"Ovunque mi sono speso, ed in tanti lo hanno fatto come e meglio di me, nel lottare perché non venisse snaturato il SSN e regionale che, pur con diversi limiti, era invidiato e copiato in tutto il mondo, certamente necessitava di qualche correzione o integrazione, ma era la migliore risposta solidaristica assistenziale in Italia. Tra continue rimodulazioni, conversioni e ripensamenti si è voluto passare ad una gestione economica finanziaria, aziendale, dove la dirigenza viene premiata, non tanto per la migliore assistenza assicurata e fornita, ma per il risparmio, per l’economia conseguita, per la precisione per i tagli all’assistenza e non per la qualità del servizio prestato, che negli ultimi tempi ha fatto emergere uno stop alla crescita dell’aspettativa di vita delle persone, addirittura una regressione. In sostanza ci si cura di meno e poco, i malanni e gli acciacchi vengono sopportati senza curare.
Tra decreti, come quello Balduzzi (Sic..) ed altri provvedimenti si son fatti notevoli passi indietro, un vero arretramento in tema di assistenza. Da piccolo ma bello, ospedale di prossimità, di montagna, dagli ex ospedali di zona, che avrebbero dovuto fare e in alcuni casi facevano, da filtro ai grandi ospedali, che a seguito di assurde chiusure e soppressioni, di riduzione di posti letto, creando così di fatto un nuovo centralismo si sono mortificati i territori e le popolazioni. Così, un potere e una politica distratta, spesso sconnessa dalla realtà, anziché rimodulare ogni anno, in base ai bisogni ed alle necessità, il numero degli studenti da ammettere ai corsi di laurea di medicina e chirurgia ed alle varie branche specialistiche, anziché formulare norme e regole di gestione per evitare sprechi, anziché intervenire sull’eccessiva privatizzazione di servizi e prestazioni, ed ancora organizzare una centrale unica per gli acquisti e forniture, ha pensato bene di chiudere i piccoli ospedali, quelli di montagna o di periferia, quelli di prossimità, in territori penalizzati già da carenze di servizi e dissanguati da una forte emigrazione con conseguente desertificazione.
Gli ospedali di prossimità e di periferia, senza grosse pretese, con i reparti di base ed il pronto soccorso, nel consentire una risposta immediata, una stabilizzazione e salvezza delle persone, favorivano l’efficienza ed il funzionamento degli ospedali di rilievo nazionale, facendo mettere in campo a questi l’alta specializzazione, la ricerca e soprattutto la multidisciplinarità, nella risposta al bisogno dell’assistenza della popolazione.
Ma, al fine di contenere la voragine della spesa sanitaria dei grossi centri, quella farmaceutica e convenzionata, qui da noi in Alta Irpinia hanno voluto testardamente sopprimere l’ospedale di Bisaccia e ridurre, se non fortemente penalizzare, avviando ad un lento declino, l’ospedale “Criscuoli-Frieri” di Sant’Angelo dei Lombardi.
Spesso i politici hanno voluto quasi trasmettere ai cittadini delle zone interne quasi una sorta di senso di colpa, come se la voragine della sanità fosse quasi colpa dei piccoli ed economici ospedali, indispensabili per un minimo di qualità della vita per cui valesse la pena restare. Tutto questo non ha creato grandi economie o risparmi, ma certamente, nonostante il grande impegno di tutto il personale, ha provocato un calo della qualità della vita. Sono ripartite le corse della speranza a sirene spiegate verso i centri ospedalieri più grandi, sempre più intasati, tutto in contrasto con la letteratura e la scienza corrente che parla di urgenza e tempestività dell’intervento assistenziale dal momento dell’episodio acuto o del trauma. Ovviamente la mancanza di prospettive dei piccoli presidi, non ha stimolato, non ha motivato la scelta dei giovani medici a lavorare in questi ospedali. E allora, come la saggezza popolare dice, "oltre al danno c’è anche la beffa!" Infatti i pazienti di territori di periferia dove gli ospedali sono stati chiusi, soppressi ed i reparti accorpati, ridotti, partendo da lande sperdute, spesso abbandonate, derubate dell’assistenza in loco, e della speranza, arrivati alla volta di ospedali come il “Moscati” di Avellino, dopo lunghe file d’attesa per il triage dell’accettazione, restano per lunghi giorni sulle barelle delle ambulanze del pronto soccorso, tra una flebo in vena, di mantenimento ed una preghiera a qualche santo, sperando nella liberazione di un posto letto.
Ovviamente è inutile dire che i codici rossi ricevono spazio ed attenzione. Dire che, al pronto soccorso del Moscati spesso i pazienti giunti dall’Alta Irpinia privati della sanità nella loro terra, restino in attesa anche 5/6 giorni in barella fa irritare dirigenti e politici contro giornalisti o familiari che documentano questo grave e spesso drammatico stato di cose.
Questa condizione è nota a tutti, ma spesso, come gli struzzi, ci si mette con la testa sotto la sabbia per non vedere e chi aiuta a far vedere diventa un nemico. I pazienti sulla barella angosciati dalla sensazione di incertezza e di abbandono, il personale soprattutto infermieristico insufficiente diventa oggetto di pressioni ed aggressioni e così anche la qualità di alcuni reparti di eccellenza e di primordine presenti nella struttura di rilievo nazionale, viene messa da parte, passa in secondo piano.
Quanto segnalato non è frutto di fantasia “ves polemica” a qualunque cosa, ma sono fatti di cui ogni giorno se ne parla, sono drammi vissuti da pazienti e dai familiari che spesso, costretti ad attendere fuori al pronto soccorso, non riescono a stringere nemmeno la mano per un saluto al congiunto morente. Gli episodi pocanzi accennati sono ampiamente diffusi ed anche ampiamente documentati per esperienza diretta e personale.
Forse una riflessione andrebbe fatta, forse non si fa peccato mortale a rivedere le scelte. Peccato mortale è l'ignavia o la protervia a perseverare nell'errore!"