di Paola Iandolo
“Più che deliberare di spendere 138 milioni richiesti dalle strutture tecniche per la riqualifica delle barriere di tutto il tratto autostradale in cui vi era il viadotto Acqualonga non poteva né doveva fare”. Il professore Afonso Furgiuele, difensore dell'ex ad di Autostrade, Giovanni Castellucci, chiarisce il ruolo e le mansioni ricoperte dal suo assistito nella sua lunga arringa nel corso del processo d’appello sulla tragedia del 28 luglio 2013 quando il pullman di Mondo Travel perse i freni e precipitò dal viadotto dell'A16, nel territorio di Monteforte Irpino, provocando la morte di 40 persone. Il processo d'Appello ha preso il via dopo che la Procura di Avellino decise di impugnare le assoluzioni disposte in primo grado – dal giudice monocratico del tribunale di Avellino, Luigi Buono - nei confronti dei vertici di Aspi.
La difesa
“Quelle barriere erano del tipo H4, indicate tra le più performanti anche dai consulenti del pm e dal perito nominato dal giudice”, ha precisato Furgiuele nella sua arringa in difesa di Castellucci. Secondo la difesa, infatti, nel 2008 il CdA decise di sostituire le barriere di primo impianto ma non impedì la sostituzione anche di quelle di seconda generazione. “Si esclude quindi ogni nesso causale con l'incidente”.
Le richieste del pg Buda
Il procuratore generale della Corte di Assise di Napoli, al termine della sua requisitoria svoltasi nelle udienze precedenti, ha chiesto che tutti gli imputati venissero condannati. Il pg del tribunale partenopeo ha chiesto 10 anni di reclusione per Giovanni Castellucci, Riccardo Mollo, Massimo Fornaci, Marco Perna, Michele Maietta e Antonio Sorrentino. Per Nicola Spadavecchia, Gianluca De Franceschi, invece il pg, ha chiesto la conferma della condanna di primo grado, che li ha visti condannati a 6 anni di reclusione. Mentre per Paolo Berti e Gianni Marrone ha chiesto la conferma ai 5anni e 6 mesi di reclusione, per Michele Renzi e Bruno Gerardi condannati a 5 anni di reclusione.
Le assoluzioni, sono state un’ingiustizia
Davanti al collegio della Seconda Sezione Penale di Appello di Napoli, il sostituto procuratore generale Buda, al termine della sua requisitoria, ha sostenuto ritenendo comprensibili le reazioni alla sentenza da parte dei dirigenti Aspi condannati in primo grado. Perché si era consumata una vera e propria “ingiustizia”, con i vertici della società esclusi dalle responsabilità. Dunque la Procura è tornata a chiedere la condanna ipotizzando un nesso di causalità tra l'incidente e le scelte all'epoca adottate dai vertici della società.
La condanna di primo grado
Il verdetto di primo grado, emesso nel gennaio 2019 dal giudice monocratico del Tribunale di Avellino Luigi Buono, aveva statuito la condanna del titolare dell’azienda che gestiva il bus, Gennaro Lametta, alla pena di 12 anni, come richiesto dall’accusa. Otto anni invece per la dipendente della Motorizzazione civile di Napoli, Antonietta Ceriola, a fronte di una richiesta di 9 anni. Sei anni di reclusione, invece, ai dirigenti di Autostrade, Gianluca De Franceschi e Nicola Spadavecchia, Paolo Berti e Gianni Marrone, furono condannati a 5 anni e 6 mesi. Ritenuti colpevoli anche altri due dipendenti di Aspi, Michele Renzi e Bruno Gerardi, condannati a 5 anni. Assolti invece, oltre a Castellucci, il dg di Autostrade, Riccardo Mollo, e i dipendenti Michele Maietta, Massimo Fornaci, Marco Perna e Antonio Sorrentino. Si torna in aula il 13 luglio quando dovrà discutere l’avvocato Sergio Pisani per il suo assistito Gennaro Lametta (condannato in primo grado a 12 anni).