Perché infilarsi nel vicolo di una vittoria ai danni di qualcuno, piuttosto che tenersi sull’autostrada delle enormi opportunità che si schiudono.
La “Comunità dell’Alta Irpinia” è nata sull’unanimismo delle cose da fare e i 25 sindaci che ne hanno ufficializzato la nascita sono consapevoli di dover tenere lontana la politica dai fondi del progetto pilota, della Regione Campania e dell’Unione Europea. Il voto, non casualmente avvenuto nella sede della comunità montana dell’Alta Irpinia, a Calitri, è il passo burocratico, il grimaldello con il quale, progetti alla mano, si potrà allargare l’orizzonte delle pretese e passare dai fontanini della gestione ordinaria, alle infrastrutture sociali di cui le zone interne hanno bisogno come pane. Con un orizzonte semplice, semplice: lavoro per i giovani.
Tutto il resto, strade, ferrovie, centri storici, sanità territoriale, servizi alle persone e alle aziende sono strumenti di un nuovo umanesimo che è già in movimento ma che deve recuperare il tempo perduto.
Gaetano Baldacci, l’uomo chiamato a dare struttura alle visioni del grande Enrico Mattei, ai giornalisti che dirigeva ricordava il dovere della novità: “Se Il Giorno è uscito con la stessa prima del Corriere della Sera dobbiamo chiederci dove abbiamo sbagliato”.
La Comunità dell’Alta Irpinia non nasce, non può, non deve rappresentare la sconfitta del demitismo e di quello che ha rappresentato. Nasce con l’urgenza di avere sotto le proprie mani un paziente grave, che si sta svuotando, cacciando via le energie migliori. C’è la necessità di un capace sguardo verso il futuro, lontano dai mandati elettorali e dagli interessi di caminetto. Altro che conta, spallate, minoranze. A consegnarsi alla storia non è la parabola di un cognome, ma il respiro che si darà ai paesi dell’osso.