Da oggi siamo liberi tutti. Liberi di uscire, di comprare, di consumare, di lavorare, di incontrarci, di prendere caffè, spritz, aperitivi e pizze. Siamo liberi di rimetterci in sesto tra barbieri, parrucchieri ed estetiste.
Da oggi siamo liberi di ammalarci, di non avere più paura del coronavirus e soprattutto siamo liberi di dirlo senza timore che di questo virus nessuno ci ha capito nulla. Nulla sappiamo delle sue origini, del contagio, della diffusione, delle responsabilità. Di come lo si combatte, della sua letalità. Nulla sappiamo su come ripartire, sui divieti, sulle possibilità, sui bonus e sui fondi.
Ci lasciamo alle spalle, speriamo, uno dei periodi più difficili della storia. Siamo rimasti chiusi in casa per mesi, abbiamo smesso di produrre, di consumare, di inquinare e di rincorrere in maniera forsennata un successo economico che per molti non arriverà mai. Abbiamo visto la natura tornare alla sua bellezza, abbiamo visto le città svuotate e orrende nel loro spavento, abbiamo scoperto il silenzio delle strade deserte, la tristezza delle vetrine spente, la disperazione di quei tanti invisibili che improvvisamente sono diventati visibili. Abbiamo scoperto la crudeltà del distanziamento sociale nell’impossibilità di abbracciare e baciare gli altri. Abbiamo visto file di camion militari trasportare bare verso forni crematori. Abbiamo assistito a persone che si spegnavano in solitudini imposte.
Abbiamo scoperto che la sanità pubblica non è un peso ma un valore, che quelli che prima erano i mostri che non ci curavano, sono diventati improvvisamente eroi.
Abbiamo scoperto i congiunti, la differenza tra affetti stabili e instabili, le autocertificazioni, i droni e gli elicotteri per il controllo di chi violava la quarantena.
Abbiamo scoperto che il nostro sistema economico non può fermarsi e non può aiutare i più deboli. Abbiamo avuto l’ennesima palese dimostrazione che il neoliberismo non solo genera e allarga le diseguaglianze ma se ne nutre. Nelle differenze, in quelle insopportabili differenze, c’è il fondamento della nostra modernità. La stessa modernità che ci ha condotti, alla pandemia. La stessa modernità così piegata ai conti economici che accetta le bugie e le trame di un regime che nulla ha detto di un virus che girava già mesi prima che lo si annunciasse.
Oggi però l’Italia riparte, con un rischio non calcolato, con uno scaricabarile preventivo tra i vari livelli di governo.
L’Italia riparte a occhi chiusi verso un futuro che nessuno ha immaginato o provato a preparare perché il dramma che ci ha attraversato e ci sta attraversando, non ci ha segnati. Non ha segnato l’umanità.
Il virus ha ucciso, ha creato danni economici enormi, ha mostrato le negatività del nostro mondo. Il virus ha sconvolto questi mesi ma non ci ha cambiati, non ci ha migliorati e le cose che in questo tempo difficile abbiamo scoperto siamo disposti a dimenticarle, anzi le abbiamo già dimenticate.
L’Italia riparte con le file davanti ai negozi, con i drammi di chi non ha capito cosa fare, con le schiume e le melme che invadono di nuovo fiumi e mari.
L’Italia riparte senza nessuna voglia di come costruire un futuro migliore.