L’Italia riparte. Le città si riempiono dei rumori di sempre. I clacson, i cantieri, le chiacchiere, le macchinette del caffè, le sgasate di auto e motorini. I suoni del caos che avevamo dimenticato e che ci mancavano tornano a riempire il silenzio pandemico delle settimane scorse. Il traffico si intensifica. Le strade brulicano di adolescenti ai quali il virus ha rubato una primavera che non avranno più indietro.
Il mare e i fiumi torna a sporcarsi. Gli uccelli che avevano ripreso a cinguettare stanno già volando via per fuggire all’umanità violenta e prepotente. Il mondo smette di nuovo di respirare mentre l’umanità riprende a macinare le sue risorse senza limiti e senza sensi di colpa.
Siamo nella Fase 2. Ci affidiamo con speranza al buonsenso di ogni cittadino, alla capacità di autoregolarsi di ogni italiano, alla paura che può limitare e condizionare i comportamenti di ognuno di noi.
Non c’è altro a cui affidarsi, non c’è nessuna app, non c’è nessuna idea geniale delle centinaia di menti delle task force approntate dal governo, non c’è nessuna novità sui tamponi, sull’immunità, sulla cura, sul tracciamento del contagio.
L’Italia riparte con le stesse debolezze di prima, con le stesse falle e gli stessi vuoti.
Il tempo passato chiusi in quarantena non ha lasciato nessun segno positivo tangibile. I ragionamenti sull’ambiente, sull’insostenibile sistema di sviluppo, di produzione, di convivenza, sul lavoro e su come riorganizzare la vita dell’umanità, restano un esercizio mentale che ci ha tenuti impegnati a ragionare in un vuoto che sembrava poter essere riempito dal pensiero di come costruire il mondo nuovo.
L’Italia riparte, con le stesse polemiche, le stesse assurde incongruenze, le stesse odiose diseguaglianze, gli stessi odi di parte che si accendono e si spengono in base al tirare del vento.
L’Italia riparte in una follia unitaria che, per non scontentare nessuno, applica gli stessi provvedimenti in situazioni geografiche completamente diverse. E così dove ci sono 500 contagi al giorno ai impongono le stesse restrizioni, in certi casi anche minori, di dove i contagi sono 0. Propio come se per combattere la violenza delle baby gang di una metropoli, si decida di militarizzare un paesino dell’Appennino dove non ci sono neanche più i baby.
L’Italia riparte facendo finta di niente, confondendo le leggi e la chiarezza con le “faq” da rintracciare sui siti istituzionali.
Una pandemia di queste dimensioni, una tragedia umana che ha svuotato interi territori, non ha inciso in alcun modo sulla politica italiana. Il dibattito pubblico è semplicemente passato dalla discussione sull’incapacità di usare i congiuntivi, all’incapacità di specificare il senso della parola "congiunti". Siamo passati dai numeri della tragedia annunciati ogni giorno alle 18, ai numeri campati in aria del prezzo delle mascherine che qualcuno dice di aver imposto a 50 centesimi mentre nella realtà neanche si trovano in vendita. Siamo passati alle foto dei mari e dei fiumi puliti che riempivano i post di politici e influencer, alle lunghe discussioni sull’importanza di riaprire tutto e subito perché non si può fermare la produzione.
L'Italia riparte senza dare voce, aiuto e prospettiva ai tanti che oggi davvero ne hanno bisogno, a chi si scopre improvvisamente spogliato dei suoi sogni, delle sue certezze, del suo lavoro, della sua fragile stabilità.
L’Italia riparte senza essersi davvero fermata a respirare. Riparte ricominciando a correre, senza guardarsi indietro, senza voler capire.
L’Italia riparte facendo finta di niente e forse tornare alla normalità fa bene a molti, fa bene a molti riappacificarsi con quei rumori, tornare a respirare il rassicurante odore del traffico, rivedere gli incravattati correre indaffarati verso uffici che tornano a riempirsi. Fa bene a molti o almeno a quelli che possono apprezzare, a chi invece non può ripartire, a chi aspetta risposte che non avrà mai, a questa crescente schiera di dimenticati e di invisibili non resta che la rabbia.
Davanti a questa rabbia è chiaro che il dramma vissuto non è servito a cambiare il mondo, non ci ha reso più buoni.
Oggi che al Fase 2 è realtà possiamo dire con sicurezza che non torneremo ad abbracciarci presto e non perché non ce lo permetteranno o perché non lo vorremo ma perché, semplicemente, non ne avremo il tempo, saremo troppo concentrati a correre.