“Restate a casa”. All’inizo era un avviso, poi un monito, poi un appello, alla fine si è trasformato in un obbligo.
In pochi giorni ci si siamo ritrovati chiusi nelle nostre abitazioni con la paura che le cose fuori stessero peggiorando.
Nei primi giorni i video dei balconi che si trasformavano in piazze, le foto delle pizze fatte in casa, le discussioni sulle serie tv e sui film da vedere o sui libri da leggere hanno invaso tutti canali di comunicazione.
Le immagini della Cina che dopo 2 mesi di clausura ricomincia a vivere mettono gioia e danno speranza ma non risolvono il problema.
Ci stiamo rendendo conto, dopo poco, che la quarantena di un popolo intero non è cosa alla quale è preparata una democrazia indolente come la nostra.
In Campania il modo energico, decisionista e autoritario con cui il presidente Vincenzo De Luca sta gestendo sin dall’inizio l’emergenza coronavirus ha fatto proseliti, si pensi alla condivisione della diretta del "lanciafiamme” condivisa addirittura da Naomi Campbell.
Molti hanno applaudito e applaudono ad un riscoperto “sceriffo” capace di chiudere e di trasformare la Campania in una piccola Corea del Nord.
Sotto la cenere tranquilla e compatta delle dirette Facebook del governatore cova però la brace della rabbia sociale che sta per accendersi.
Il “restate a casa” ha messo in evidenza una frattura sociale, ha riacceso quella che un tempo si chiamava la divisione di classe. Il mondo separato tra chi può permettersi di rimanere in casa e chi invece vede il conto corrente esaurirsi e non sa più cosa fare, per arrivare a chi una casa neanche ce l'ha.
In un Sud dove il lavoro stabile e regolarmente retribuito è un miraggio, dove uno stuolo di famiglie vivono con lavori saltuari e spesso neanche dichiarati, in una realtà nella quale negozianti, ristoratori, baristi e i loro dipendenti non hanno più entrate, a poter restare a casa sono solo i fortunati.
Eppure il Paese ha perso tempo a ragionare sulla libertà dei runner, sui drammi psicologici di chi non può praticare attività motoria, senza concentrarsi con concretezza sul problema del reddito.
C’è un punto di rottura oltre il quale molte famiglie italiane non possono andare e quel point-break si sta avvicinando sempre di più nel silenzio distratto o forse spaventato delle istituzioni.
Quelle dirette del governatore che continuano a raccogliere un pubblico enorme che supera anche i soldi spesi in sponsorizzazioni, iniziano a diventare un luogo di sfogo e nei commenti la richiesta di un aiuto è continua.
“Caro governatore oltre a dirci come ci tieni chiusi in casa ci spieghi pure come devono fare tante famiglie per dar da mangiare ai propri figli chiusi in casa?” si legge tra i commenti e sono migliaia quelli che lanciano il loro sos. Nei giorni scorsi le storie di cittadini che hanno chiamato istituzioni locali o forze dell’ordine per comunicare che non avevano più soldi e non potevano garantire il sostentamento alle loro famiglie sono tantissime.
Lo “sceriffo” non basta più. De Luca può chiudere con anticipo tutto, può contenere il contagio, può organizzare, aprire ospedali prefabbricati, posti in terapia intensiva, far arrivare mascherine da Marte, ma non ha alcuna possibilità di assicurare fondi alle famiglie.
Davanti all’emergenza del virus uno “sceriffo” può bastare, ma per una crisi sociale ed economica senza precedenti nella storia ci vorrebbe uno Stato e quello sembra davvero sparito.