IL PIZZINO di Urgo: La coperta corta (che riscalda)

E' davvero insopportabile che Napoli (almeno quella calcistica) sia una stazione di sosta...

il pizzino di urgo la coperta corta che riscalda
Napoli.  

Trovo insopportabile che Napoli (almeno quella calcistica) sia una stazione di sosta e non la destinazione finale dei suoi tesserati. Ho fatto questa banale considerazione mentre leggevo che il gol vittoria del Bayern Monaco in trasferta in casa del Friburgo era stato segnato da quel Kim Min-jae che tanto aveva dato ai colori azzurri e tanto era stato amato dalla sua tifoseria. Mi chiedo a cosa era valso cantare vecchi tormentoni di canzoni sudcoreane (e ballare sulle loro note insieme con la squadra che da lì a poco avrebbe vinto lo scudetto) se poi si era voluto lasciare al primo fruscio di soldi. E la cosa non era stara diversa con Khvicha Kvaratskhelia, venuto da oscuro tramestatore di fascia e andato via (nel pieno di un campionato in cui il Napoli era primo) da principe delle corsie laterali e dei suoi innumerevoli sogni.

La regola vuole che ogni perdita si paghi, in termini tecnici e in termini morali. L'assenza di un calciatore - tanto più se considerato un leader dal gruppo - grava più del valore del singolo elemento. Non ci si illudeva che questo prima o poi non avrebbe potuto pesare sull'economia del gioco del Napoli e sulle sue risultanze. Se poi alle diaspore si aggiungevano gli infortuni il gioco (al ribasso) era bello che fatto.

Un Napoli, infatti, che si era (senza una ragione logica) ridotto da solo le pedine in campo (vedi Mario Rui), era evidente che non avrebbe potuto a lungo reggere l'impatto di squadre, peraltro in crescita come la Juventus, che avevano in panchina giocatori che potevano in qualunque momento cambiare le sorti per la propria squadra. Perché  in fondo - ci si chiedeva - gli azzurri chi hanno per mutare l'inerzia di una gara? Raspadori? Il Cholito Simeone? Forse neanche. Ma la cosa stupefacente è che il Napoli con quel molto o quel poco che ha, si presenta sempre in campo pronto a combatterla tutta la sua battaglia, senza sottrarsi alle difficoltà e agli impedimenti (anche arbitrali), e fino a raggiungere un risultato che, buono o meno che sia, esprima in pieno lo spirito (e il credo) del suo allenatore. La partita con la Juventus al Maradona ne è piena e assoluta testimonianza.

Tra infortuni e partenze, all'82° Antonio Conte non aveva cambiato ancora nessun giocatore. Chiara manifestazione di disinteresse per tutti i suoi panchinari o totale e cieca fiducia nei protagonisti fino ad allora in campo? Propendo per la seconda, pur non disdegnando, tra una battuta di spirito e una testimonianza d'affetto del tecnico leccese, la prima.