IL PIZZINO di Urgo: Col Cagliari quasi, ma poi no

A Calzona spettava rimettere a posto i ruoli ma anche gli affetti, rinsaldare i legami ma poi...

il pizzino di urgo col cagliari quasi ma poi no
Napoli.  

Cagliari-Napoli poteva godere di alcune premesse nient'affatto secondarie. Era la gara d'esordio, in un campionato ormai da tempo compromesso per gli azzurri, di Francesco (detto da queste parti Ciccio) Calzona, tetragono secondo con l'innata (e tardiva) aspirazione a diventare primo, la cui differenza sostanziale con chi lo aveva senza colpo ferire preceduto - il Rudi Garcia e il Walter Mazzarri di questi tristi tempi - è che lui un lavoro ce l'aveva mentre loro due no. Da questa, peraltro non unica, difformità ne discendevano molte altre che vado a elencare.

Il francese era supponente quanto basta per non entrare in sintonia con nessuno a Napoli, dai calciatori ai magazzinieri, fino ad arrivare all'ultimo dei tifosi. Aveva goduto degli ultimi palpiti della squadra che fu e aveva gettato le basi per una confusione tecnica e tattica che si sarebbe realizzata pienamente solo col campione che gli sarebbe succeduto.

E arriviamo a Walter Mazzarri, "l'amico del presidente e della sua famiglia", lo studioso dei moduli calcistici altrui, l'inventore del "meglio non prenderle che darle" sin dai tempi in cui "salvava" la Reggina dalla nient'affatto scontata retrocessione. A lui attribuisco, oltre alla consunzione irrefrenabile, totale e ingiustificata di tutti gli alibi disponibili, anche il fatto che - appiattito com'era sulle posizioni del presidente - non ha mosso un dito di fronte alla spoliazione tecnica da quegli operata della squadra che aveva vinto lo scudetto, figlia a sua volta di una volontà narcisistica e cieca di "saldare tutti i conti col passato", manco fosse una "notte dei lunghi coltelli". Se era un medico venuto a lenire il dolore di due separazioni e a salvare il salvabile, aveva anche il dovere di essere dalla parte della squadra e delle sue più profonde ragioni di esistere e di perpetuarsi. Non avrebbe dovuto consentire, per esempio, l'addio di Elmas o l'arrivederci di Gaetano né avrebbe dovuto accettare le assurde esclusioni con ignominia di Zielinski e Demme, a fronte degli inconprensibili ingressi di Traorè e Dendoncker. A costo di legarsi ai cancelli di Castel Volturno (come avrebbe detto e fatto qualcuno di ben altro spessore). È stata questa la sua più grande colpa, oltre a quella di sforzarsi di essere ciò che non era solo per compiacere chi lo aveva, certo con troppa benevolenza - od opportunismo - ingaggiato.

A Calzona spettava ora rimettere a posto i ruoli ma anche gli affetti, rinsaldare i legami e coltivare daccapo i valori. Col Barcellona c'era in parte riuscito, col Cagliari quasi, ma poi no.