A Napoli la piazza calcistica tutta è disorientata, avvilita, imbufalita, attonita. A nessuno è dato conoscere la ragione di un mutamento, che assomiglia molto a un disastro, così repentino - dalle stelle alle stalle, è proprio il caso di dirlo - e chiunque io incontri, con chiunque io parli, si guarda intorno come inebetito, vuoto di soluzioni e, perfino, di speranze. E un affastellamento di rabbia, delusione, domande inevase, vie d'uscita che sembrano più (altri) vicoli ciechi che strade maestre.
Certo non c'è che il lavoro, la passione dei singoli che diventa anche spirito di gruppo, l'equilibrio dei vertici e i valori morali di ciascun componente tanto della squadra quanto dello staff. Appellarsi alla sfortuna ora non serve, sarebbe un (ennesimo) alibi, dopo "il tecnico sbagliato", "la fuga dei cervelli" (Spalletti e Giuntoli, ndr) e "il tradimento" del "coreano volante". Certo qualcosa non ha funzionato, eppure era là a portata di mano.
Bastava avere un minimo senso di realtà, prendere atto delle defezioni e ricominciare, cercando di non disperdere, più che il patrimonio tecnico, quello umano, che aveva consentito la realizzazione della "grande impresa". Eggià, perché era comprendere la "magia" dell'evento che contava di più che pensare di perpetuarlo tout court, senza riflessioni "interiori", solo ingolfando di pedine - neanche tanto a caso, ma di certo non sufficientemente qualificate - lo scacchiere societario e tecnico.
È quello, a mio giudizio, il vero peccato originale di chi ha programmato la stagione successiva a uno scudetto storico, perchè tanto atteso e perchè ottenuto con un distacco abissale dalle inseguitrici, nonostante il rallentamento degli ultimi due mesi di una marcia già trionfale.
Molti parlano di ciclo svanito per i mancati investimenti di Aurelio De Laurentiis sul mercato e sul team chiamato a perpetuare fasti inimmaginabili. Io dico che quella che è mancata è stata la continuità del cuore, quello che batteva all'unisono tra squadra, allenatore, direttore sportivo e, soprattutto, ambiente, città, tifo, storia, riscatto, speranza.
Quello che un po' a caso e un po' no, sottraendo più che aggiungendo (spero non debba ricordare l'accoglienza riservata a Kvaratskhelia e Kim) aveva trovato l'alchimia, etimologicamente "la chimica", quella particolare, unica - ma non irripetibile - fusione di conoscenze, impulsi, visioni, allegrie e intenti, da cui discende la "pietra filosofale" stessa, la sostanza (umana) "catalizzatrice", che tutto sana e tutto purifica.