È ormai tanto ben noto a tutti che temo sia venuto a noia perfino a me ripeterlo. Luciano Spalletti non mi convinceva. Troppo arzigogolato mentalmente, troppo precisino e puntualizzante, fino ad apparire spocchioso e arrogante. Mi sembrava inadatto tanto alla faciloneria napoletana quanto alla sua focosità che facilmente poteva diventare invadenza. E invece mi ha sorpreso.
Dal primo giorno di ritiro, con quella sua fisima delle pettorine con su scritte le parole archetipali del tifo azzurro - "sarò con te.." - prima - "...e tu non devi mollare" - poi. Non so cosa sia accaduto nella testa e nei cuori dei calciatori partenopei, ma qualcosa è cambiato da quelle ore incerte e opache del pareggio del Napoli gattusiano col Verona che ci aveva tolto la Champions e molto altro. Per la verità a essere mutati (almeno dal secondo anno in poi e più per forza che per volere) c'erano anche molti nostri calciatori, per la precisione cinque e tutti di grande peso tecnico e morale, chi giunto a fine carriera e chi a fine ciclo sulle turchesi sponde del golfo inviso ad Ulisse.
L'esperienza del primo anno, fallimentare per qualche sofista a buon mercato, era servita al mister per affinare le armi e arrotare i concetti, calcistici e non. Da qui l'estraneazione piena e convinta dagli agi (e dai costi) dell'albergo ormai forse più bello di Napoli, il Britannique, per rintanarsi come un monaco tibetano in quel di Castelvolturno, una piccola stanza, un giaciglio e una vita di meditazione e preghiera (che De Laurentiis non lo sfrattasse).
Ogni giorno era lì, ad aspettare i suoi ragazzi sulla soglia dello spogliatoio o del campo di gioco, mai una titubanza o un'assenza, ascetico e risoluto come nessuno nei 33 anni che erano seguiti all'ultimo scudetto con il condottiero Diego Armando Maradona ancora in sella. Credo che ciò abbia prima e più di tutto cementato l'unione tra i protagonisti, noti e meno noti, di questa straordinaria stagione. Altri eventi hanno favorito però un risultato così inaspettato. Di Lorenzo capitano, l'esplosione di Lobotka, il nuovo George Best e l'ultimo George Weah. Ma più di tutto l'aver ricreato in quella solitaria attesa del nostro condottiero lo spirito vero e indissolubile di una famiglia. Il caffè di Storace di sicuro avrà fatto il resto.
Per questo, una volta conseguita la vittoria, il nostro asceta è tornato il Cincinnato che in fondo è. Nel silenzio assorto della sua campagna toscana ricorderà di certo il tumulto della gioia azzurra e un po' se ne inorgoglirà.