De Laurentiis lasci perdere il modello Nba: non si riconquistano così i ragazzi

Adl non abbandona un modello (sbagliato) di calcio elitario: ma il pallone è un'icona ultra popolare

de laurentiis lasci perdere il modello nba non si riconquistano cosi i ragazzi
Napoli.  

Panchina lunga, clausole rescissorie, più sponsor sulle maglie: è innegabile che Aurelio De Laurentiis abbia scelto un ruolo tutt'altro che passivo nei suoi 19 anni calcistici.
Sarebbe stato impossibile il contrario: un Adl che accetta passivamente regole, o più che altro consuetudini che ritiene sbagliate, pur di stare nel mondo del calcio è semplicemente impensabile.


Diametralmente opposto all'icona elegante, cinica e sottile di Gep Gambardella, personaggio clou del suoi amico Paolo Sorrentino, Adl col giornalista “re dei mondani” ha qualche tratto in comune: se Gep non vuole solo il potere di partecipare alle feste, ma anche quello di farle fallire per Adl il fallimento non è contemplato, e vuol partecipare alle feste conquistandosi il ruolo di “masto” e dunque il potere decisionale sugli allestimenti, sul buffet, e più in là sulle regole...bramando pure quello di decidere gli invitati.
Va dato atto a De Laurentiis che tra una fuga in motorino e qualche urlaccio e coi suoi modi estemporanei ha dato al calcio diversi buoni spunti: le idee della panchina lunga, della clausola rescissoria per i calciatori, dell'aumento del numero di sponsor sulle maglie sembravano eresie nel momento in cui il patron del Napoli le rilanciava...salvo poi diventare strutturali nel sistema calcio. Non solo: è riuscito a vincere col Napoli alla sua maniera, non derogando da un modello agile e non spendaccione, giovane e ruspante...le vittorie di Ferlaino per contro erano figlie di un altro modello, con l'ingegnere che raccontava di come anche le vacanze estive erano organizzate in funzione del risultato, scegliendo le mete preferite dai vertici federali.


Tuttavia c'è un caposaldo del pensiero delaurentisiano che continua a non convincere: una visione calcistica modello Nba americana, rilanciata domenica scorsa da Fazio che stride con le caratteristiche intrinseche del pallone.
Se panchina lunga, clausole rescissorie, sponsorizzazioni e andando più in là Var, tecnologia e una maggior fruibilità del prodotto calcio avevano la caratteristica della difficile attuazione ma senza grossi ostativi intrinseci una visione elitaria del pallone, che è per contro la massima icona pop mondiale e ancor di più italiana, di ostativi se ne trascina dietro tanti.


L'Nba è l'Nba: ha una determinata storia, determinate caratteristiche e soprattutto è in crisi perché, se tutto il mondo è paese, anche il campionato di Basket americano ha sperimentato il suo Psg, in questo caso Golden State, arrivando a spendere 500 milioni di dollari di stipendi a stagione e ponendo un serio problema strutturale, non l'unico dei problemi. 
Il calcio è altro: in Italia è l'oratorio o le maglie per terra a fare i pali, è la partita di I categoria che porta due o tremila spettatori sul campo in terra battuta col sogno, di quei due o tremila tifosi, che un giorno il loro paesino di qualche migliaio di abitanti le suoni al suo Napoli o alla Juventus e passi calciatori alla Nazionale. D'altronde di Chinaglia che passa al Frosinone cantava Rino Gaetano più di 40 anni fa, ma il succo è sempre quello.


Perché se è vero che i ragazzini oggi sono intontiti dalle piattaforme di gioco e dai social chi scrive assicura per esperienza diretta che tablet e smartphone sono stati accantonati da quei ragazzini nel momento esatto in cui il Benevento Calcio andava a vincere con la Juventus a Torino, e che i cortili tornavano vocianti trasformandosi nello Juventus Stadium per riemulare le gesta di Gaich e le parate di Montipò, Super Santos sotto il braccio...mentre i cortili virtuali di Call of Duty restavano inesorabilmente spenti. Ma non c'è nessun miracolo o strategia di marketing dietro: è il calcio, quello vero...quello che ha fatto riempire i vicoli di Napoli di persone e bimbi sorridenti e sbandieranti, niente di più semplice.

Il problema semmai è stato l'opposto con una visione penalizzante per la provincia, che l'ha relagata al ruolo di sparring partner delle grandi, arrendevole e appesa alle briciole o ai prestiti invece di essere considerata serbatoio inossidabile di talenti da far crescere e incentivare. Così è stato fino agli anni Novanta...con un calcio che vinceva mondiali (anche l'Italia del 2006 è una squadra figlia di quegli anni) e Coppe Europee...salvo poi perdere competitività quando si è deciso di indebolire il calcio di provincia riservandogli le briciole. Si tende a ricordare gli anni '80 e '90 come quelli di Maradona, Van Basten, Platini, Matthaus...ma bisogna anche ricordare che nelle "piccole" ci giocavano campioni come Hagi, Skhuravy, Pasculli, Francescoli, Aguilera, Platt.. oggi sarebbe impensabile. 


Non è solo una questione italiana: il calcio, pure in quella Premier bramata perché porta un sacco di soldi, è il Brighton di De Zerbi che si qualifica in Europa per la prima volta a discapito di un Chelsea che spende 600 milioni di euro in una singola sessione di mercato, è il Luton Town che in 9 anni dalla Serie D arriva in Premier con il suo stadio, Kenilworth Road, che ha l'ingresso tra le porte delle case e gli spalti tra i balconi. Questo è il vero calcio.


Anzi, è il pallone: d'altronde poi ad andare a declinare quelle elucubrazioni elitarie si corrono rischi...c'è sempre chi è più élite di te e magari si organizza una Super Lega modello Nba ponendola come il Sancta Sanctorum calcistico che altrimenti Cristiano Ronaldo si annoia a giocare (e perdere) contro il Benevento...Super Lega dove il Napoli però non c'è, o al massimo può sperare in un invito una tantum. Idea presa a fischi e pernacchi dagli stessi tifosi delle squadre che a quella Super Lega avrebbero dovuto partecipare di diritto.
A sostenere quella (stupidissima) idea sono rimaste in tre. E restando nel campo del cinema, primo amore di Adl, citando Woody Allen: una di loro non se la passa neppure tanto bene.