Pd Campania, non basta De Luca. La resa dei conti: Boccia convoca i dem

Lunedi 3 ottobre l'analisi di una sconfitta. A Santa Brigida si valutano i risultati delle urne

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Nemmeno il grande piano per il lavoro al sud è riuscito a battere il reddito di cittadinanza, ma quel piano è arrivato troppo tardi.

Napoli.  

Lunedi 3 ottobre alle 15,00 presso la sede del PD della Campania a S.Brigida, il commissario regionale Francesco Boccia ha convocato una conferenza stampa. A distanza di di una settimana, quando le acque si saranno calmate e quando si avrà il quadro definitivo del risultato elettorale in Campania, l'ex ministro per gli affari regionali insieme ai vertici dem proverà a spiegare cosa è successo.

Sarà l'analisi di una sconfitta che in Campania brucia il doppio perché l'onda di destra è stata sì travolgente ma il Pd è stato letteralmente cannibalizzato dal Movimento Cinque Stelle, quegli alleati con cui è stato costruito il successo elettorale a Napoli e in altre città della Campania, quelli dell'”agenda progressista”, quelli del reddito di cittadinanza.

Certo, il buon risultato ottenuto nelle città di Avellino e Salerno ha portato il Pd ad essere la prima forza politica, raggiungendo le cifre più alte del Mezzogiorno, di gran lunga superiori alla media nazionale. Numeri che, però, non sono bastati.

E se il Pd in Campania ha tenuto meglio che altrove è indubbiamente merito di Vincenzo De Luca, ma anche i collegi che dovevano essere blindati con i fedelissimi voluti dal governatore della Campania non si sono rivelati tali.

E nemmeno il grande piano per il lavoro ai giovani del sud, la promessa di 300mila posti nella pubblica amministrazione, storica battaglia del governatore campano, è riuscito a battere il sussidio di cittadinanza che a Napoli e in Campania conta 229mila famiglie di percettori (a fronte delle 224mila famiglie dell'intero nord).

Quel piano, tra le proposte programmatiche dem, rappresentava sicuramente la carta più competitiva nel mezzogiorno, ma è arrivato troppo tardi.

Gli occhi della tigre si sono rivelati quelli di una talpa di fronte al quadro politico che si stava delineando. Rompere il patto giallo rosso è stato fatale, e il trionfo della destra di Giorgia Meloni, così come quello dell’astensionismo soprattutto in Campania, sono una colpa che il Pd si trascinerà dietro ancora a lungo.

Insistere su nomi estranei alla galassia di centrosinistra e sull’ex nemico Di Maio, irrilevante a livello elettorale e dannoso per l’immagine del partito, ha scosso un elettorato già stanco, che da anni vota il Pd come male minore, "col naso otturato", forse l’unico partito a essere odiato dai suoi stessi elettori e a essere votato solo per non far vincere gli altri.

A fronte di un grande lavoro svolto sui territori da alcuni candidati all'uninominale che hanno provato con il “porta a porta” a ribaltare il risultato, dal Nazareno si è voluto puntare invece su una campagna basata sul ricatto, quel “votate noi o vincono i cattivi” che non ha mai funzionato. E' dal 1994 che a unire i partiti di centro-sinistra è la retorica della demonizzazione del centro-destra: prima Berlusconi, poi Salvini e infine la Meloni, e non ha mai funzionato.

Il mondo è cambiato, un’intera generazione, i ventenni e i trentenni di oggi, non si è mai sentita rappresentata pienamente da un partito di centrosinistra e, a differenza dei suoi genitori, non sa cosa voglia dire credere in una forza politica, avere un’ideologia forte a cui aderire.

Questo è il lavoro che bisogna fare adesso. Ricominciare daccapo, immettere forze e idee fresche e nuove. Ma prima c'è un cancro da combattere dall'interno che si chiama correntismo. L'annuncio del congresso a gennaio ha già messo in moto aree e fazioni. Il dinosauro si sta già muovendo rischiando di schiacciare tutto quello che trova sul cammino. E la sensazione è che non basterà l'impatto dell'asteroide Meloni per estinguere le vecchie cattive abitudini.