Mentre il dibattito politico napoletano si accende e si infervora impegnando intellettuali, scrittori, influenzer, sindaci e dirigenti di partito, su alleanza, campi larghi, aperture, chi appoggiare, come aprire, cosa aprire ma sicuramente mai dove andare, la città vive la sua realtà purtroppo drammatica.
La storia degli operai e delle operaie dello stabilimento Whirlpool di via Argine che hanno colorato le strade di Napoli con la loro vertenza e che ieri hanno visto realizzarsi l’incubo della chiusura a Roma, è un esempio della nostra realtà contemporanea.
Sulla Whirlpool nessuno ha potuto incidere veramente, la scelta era stata presa dal gigante americano già nel 2018 e se l’impianto “non è più sostenibile economicamente e l’azienda perde 20 milioni l’anno solo per via Argine” allora la Whirlpool fugge. In questi mesi la politica e, purtroppoo, anche i sindacati si sono limitati alle parole, pur infuocate, ma mai incastonate nella realtà.
“Noi non arretriamo di un passo. Whirlpool deve sapere che lo scontro lo faremo fino alla fine. Potrebbe essere il loro Vietnam l’Italia”. Diceva il segretario generale della Fiom di Napoli, Rosario Rappa a ottobre scorso. Ma dopo pochi mesi anche i sindacati hanno ceduto e ieri alla loro uscita dal MISE sono stati duramente contestato dai lavoratori con tafferugli, urla e lanci di oggetti.
Se prometti la luna poi non puoi pretendere che ci si accontenti del nulla.
E intanto la politica è distratta a parlare del voto in Emilia-Romagna, di appoggiare o meno Caldoro o De Luca, di essere con Ruotolo ma senza stringere accordi con DeMa o di essere contro Ruotolo e rappresentare la borghesia “intellettuale” napoletana.
In Campania, più che altrove, c’è bisogno di riscoprire i fondamenti e le ragioni di una politica industriale nuova e capace di leggere i territori, la loro geografia e le loro esigenze economiche e sociali.
Purtroppo anche la Whirlpool ci consegna la solita storia di una globalizzazione violenta e mai governata, dove le istituzioni sono depotenziate, deboli e incapaci di reggere il confronto con il capitale e i lavoratori sono troppo spesso soli, non rappresentati e impotenti davanti ai colossi globali.
In questa situazione drammatica la politica si dimostra del tutto inutile nel conflitto sociale esistente e completamente inabili di parteciapre alla soluzione.
Eppure proprio la politica dovrebbe rispondere agli interrogativi che riguardano non solo le crisi industriali ma quello che queste provocano sulla tenuta sociale dei territori. I deserti civili, geografici ed economici che ogni chiusura è ogni riconversione lasciano alle loro spalle.
Sulla Whirlpool, che è stata una tendenza mediatica apprezzabile, leggeremo dichiarazioni, vedremo sfilare istituzioni che chiuderanno il pugno e grideranno “il potere deve essere operaio” ma purtroppo dietro questa pantomima purtroppo ci sono zero idee e zero soluzioni.