Usura a Castellammare: presi boss dei Cesarano e la moglie

Un imprenditore, esasperato dalle richieste, dalle minacce e dalle aggressioni ha denunciato

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Castellammare di Stabia.  

Un imprenditore di Castellammare di Stabia nel 2011 ha chiesto un prestito di 550mila euro al clan Cesarano. L’uomo da allora era costretto a pagare 5.500 euro al mese. Durante il periodo pandemico, con il lockdown e il crollo dei consumi, l’imprenditore non è più riuscito a sostenere le spese di questo prestito e ha deciso di denunciare alle forze dell’ordine la sua situazione.

Dunque, dopo 9 anni di pressioni, minacce e botte, l'imprenditore di Castellammare di Stabia ha trovato il coraggio di rivolgersi alla Guardia di finanza di Napoli.

Da qui gli arresti di due persone: Nicola Esposito, detto "o' mostr", recluso al 41 bis, reggente del clan Cesarano, già arrestato nel 2014, e sua moglie Annunziata Cafiero, anche lei finita in cella. Ai due e a un loro familiare attualmente ricercato vengono contestati i reati di usura, estorsione e lesioni personali aggravati dal metodo mafioso.

La coppia avrebbe preteso l’estinzione del debito in un’unica soluzione e con questo sistema sarebbe riuscita a tenere sotto scacco l’imprenditore dal quale avrebbero preteso la cessione della sua attività. Le richiestesarebbero state fatte in maniera violenta,  l’uomo sarebbe stato sottoposto a continue aggressioni, l’ultima a luglio, per mano della stessa Cafiero. 

La donna infatti dopo un silenzio durato per tutto il lockdown sarebbe tornata a presentare le sue richieste via WhatsApp nel cuore della notte. "Quando ci prendiamo il caffé?" Con questo messaggio avrebbe, secondo gli inquirenti, fatto riferimento alla "sua" quota di interessi per quel prestito da 550mila euro risalente al 2011,  sul quale insistevano interessi a tassi usurai pari al 120%.  La vittima avrebbe pagato infatti 60mila euro all’anno al clan camorristico solo di interessi. 

L'indagine della Guardia di Finanza di Torre Annunziata e della Compagnia di Castellammare di Stabia, coordinata dalla Dda di Napoli (pm Giuseppe Cimmarotta, procuratore aggiunto Rosa Volpe) ha evidenziato, per la prima volta, gli effetti deleteri della pandemia da covid-19 non solo sull'imprenditoria e il commercio locale, ma anche sulle organizzazioni criminali che, incattivite per la mancanza di denaro, hanno cominciato ad essere sempre più pressanti e violente con le loro vittime.

Dalle minacce si è passati alle percosse, mandando l'imprenditore all'ospedale con un trauma cranico. Un passo falso costato caro visto che a questo punto la vittima, consapevole di non poter più pagare dopo tre mesi di stop per il bar e il ristorante, ha deciso di rivolgersi agli investigatori.