Fortuna,abusata e uccisa.Titò, ergastolo confermato in appello

Nessuno sconto per la Fabozzi

Raimondo Caputo ha reagito alla sentenza, in silenzio, con la testa abbassata ed ha mormorato al suo legale: “Quello che ho fatto l’ho detto ( le violenze alle figlie della convivente), ma a Chicca non l'ho uccisa e nemmeno mai sfiorata"

Caivano.  

 

di Siep

Ergastolo confermato per Raimondo Caputo, detto “ Titò”, giudicato colpevole delle violenze sessuali e dell’omicidio di Fortuna Loffredo, la bimba del Parco Verde di Caivano, scaraventata nel vuoto dal terrazzato condominiale dell’isolato 3 delle palazzine popolari Iacp, la mattina del 24 giugno del 2014.

Nessun sconto di pena. Per Titò confemrato l'ergastolo nonostante la requisitoria del suo avvocato Paolino Buonavita, che aveva parlato di un complotto ordito dalla rete dei pedofili del Parco per incastrare Titò. Raimondo Caputo oltre all’ergastolo sconterà in “contemporanea” anche i 14 anni inflitti per le violenze e gli abusi commessi sulle figlie della sua ex convivente. E nemmeno per questa, Marianna Fabozzi, la 3^ sezione della Corte di Assise d’Appello di Napoli (presidente Vicenzo Masturzi) davanti alla quale si è svolto il processo dio appello, ha fatto sconti, confermando  la pena a dieci anni di carcere per non aver impedito a “Titò” di abusare delle su figlie.

La donna, che non era presente in aula,  tutt’ora agli arresti domiciliari, è anche indagata dalla Procura di Napoli per omicidio di primo grado, nell’ambito della morte del figlio Antonio Giglio.

Una storia di accuse e violenze in un Parco rimbalzato alle cronache nazionali per violenze perpetrate su bambini e bambine innocenti. Il corpicino di Antonio Giglio era precipitato nel vuoto dallo stesso edificio la sera del 27 aprile del 2013. Raimondo Caputo ha reagito alla sentenza, in silenzio, con la testa abbassata ed ha mormorato al suo legale, l’avvocato Paolino Bonavita del foro di Nola, un laconico : “Quello che ho fatto l’ho detto ( le violenze alle figlie della convivente), ma  a Chicca – così veniva chiamata la piccola vittima – non l’ho uccisa e nemmeno sfiorata mai”. Unica speranza per i due imputati un eventuale ricorso in Cassazione.