Le società scientifiche post-accademiche e le cefalee italiane

L'emicrania è tutt'altro che un semplice mal di testa, seconda malattia più disabilitante al mondo

le societa scientifiche post accademiche e le cefalee italiane
Napoli.  

Al convegno di lancio di un nuovo farmaco antiemicranico di profilassi, organizzato a Roma dalla Organon, colosso farmaceutico statunitense che ha nelle terapie della donna il suo must, mi è stato chiesto - nel corso di una tavola rotonda a cui partecipavono i presidenti delle due società scientifiche italiane che studiano e diffondono la cultura dell'emicrania (tra cui il sottoscritto), le responsabili delle due più importanti associazioni (una nazionale e l'altra internazionale) di pazienti cefalalgici e due tra le più grandi esperte intaliane di cefalee - di rispondere a una domanda: "Emicrania, da patologia sociale al riconoscimento di patologia cronica invalidante. Cosa manca ancora e come le società scientifiche possono contribuire al raggiungimento di questo obiettivo?".

Riavvolgiamo il nastro e facciamo alcuni chiarimenti.

L'emicrania, che è "tutt'altro che un semplice mal di testa", occupa uno spazio rilevante delle patologie oggi esistenti, tanto da essere considerata la seconda malattia più disabilitante al mondo. Ne è affetta 12-14% della popolazione mondiale, con picchi di prevalenza molto più alti nell'intervallo di età che va dai 12 ai 48 anni, cioè quello più attivo e produttivo, soprattutto per le donne che in questa fascia di età ne sono colpite 3 volte di più degli uomini per i ben noti effetti che le fluttuazioni ormonali hanno su di loro. Il risultato conclusivo è che in Italia ci sono almeno 6 milioni di emicranici di cui 4 sono donne. La cattiva notizia però viene dal fatto che la maggior parte degli attacchi dolorosi che caratterizzano questa malattia sono molto o moderatamente disabilitanti, in altre parole impediscono ovvero limitano significativamente lo svolgimento delle comuni attività della vita quotidiana, tanto da creare non pochi problemi alla vita lavorativa, affettiva e sociale di chi ne è affetto.

Ma la notizia ancora peggiore è che una parte tutt'altro che poco rilevante di questi pazienti (almeno un milione), per responsabilità a cui i medici non sono estranei (la maggior parte di loro ci mette almeno una ventina d'anni per essere presa in carico da una figura professionale competente), cominciano a esserne colpiti per un numero sempre più insopportabile di giorni al mese (più di 8) o addirittura finiscono col diventare cronici, passano cioè almeno 15 giorni su 30 con un dolore al capo che il più delle volte li isolerebbe o li obbligherebbe a letto, cosa che peraltro pochi emicranici fanno, preferendo di gran lunga un presenteismo afflittivo a un assenteismo totalmente devoluto a uno stigma foriero esso stesso di una disabilità ancora più penosa ed emarginante.

In Italia si è andati avanti così fino al 14 luglio 2020, quando in pieno Covid-19 il governo Conte non promulgò la legge 81 la quale decretava che: "La cefalea primaria cronica, accertata da almeno un anno nel paziente mediante diagnosi effettuata da uno specialista del settore presso un centro accreditato per la diagnosi e la cura delle cefalee che ne attesti l'effetto invalidante, è riconosciuta come malattia sociale".

Sembrava l'inizio di una rivoluzione copernicana, ma - come quasi sempre succede in Italia - non accadde nulla fino a quasi 3 anni dopo, quando il governo (che intanto era cambiato ed era guidato da Mario Draghi), in una conferenza stato-regioni di marzo 2023, non riprese quanto quella legge già prevedeva di realizzare in 6 mesi e dispose di richiedere alle regioni "progetti finalizzati a sperimentare metodi innovativi di presa in carico delle persone affette da cefalea cronica" da presentare entro la fine dell'anno in corso e il cui termine è stato poi via via rinviato fino ad arrivare a quello (ultimo?) del 31 dicembre 2025.

Anche così, ad oggi, la maggior parte di quanto richiesto alle regioni resta tuttavia ancora non realizzato o difforme da quanto voluto dal governo. Insomma un pasticcio tutto nostrano. Così, mentre le società scientifiche del settore continuano imperterrite ad autoreferenziarsi, i pazienti non smettono di aggirarsi tra case, ambienti di lavoro e uffici pubblici in cerca di uno straccio di tutela alle loro vite compromesse da tanto soffrire.

Non resterebe che percorrere la strada che due giornalisti - Pietro Greco e Vittorio Silvestrini - quasi 10 anni fa indicarono come unica soluzione possibile a tanta abissale distanza: la scienza comunichi sé stessa al di fuori dalle torri d'avorio in cui si è confinata e si cali nella società creando - qua per gli emicranici cronici e altrove per chissà quante altre patologie abbandonate a loro stesse - filiere diagnostiche e terapeutiche uniformi, eque e percorribili. Solo così entreremo finalmente a far parte di quel futuro scientifico "post-accademico" di cui tanto (medici e pazienti) necessitano.