La tutela del diritto alla salute delle persone senza dimora è stata a lungo una sfida per il sistema sanitario italiano, con le associazioni del terzo settore e la medicina di strada a ricoprire un ruolo fondamentale in questa battaglia. In passato, l’assenza di una residenza anagrafica precludeva per molti senzatetto l’accesso a un medico di base, limitando le possibilità di assistenza sanitaria a interventi di emergenza presso i pronto soccorso. In alcune regioni italiane, come l’Emilia-Romagna, la Puglia e altre, specifiche normative (tra cui la legge Mumolo) hanno cercato di colmare questa lacuna, estendendo progressivamente i diritti sanitari anche ai più vulnerabili.
Il 6 novembre, un passo avanti significativo è stato compiuto con l’approvazione unanime del disegno di legge promosso dal senatore Marco Furfaro. La nuova normativa istituisce, all'interno del ministero della Salute, un fondo di un milione di euro per ciascuno degli anni 2025 e 2026, destinato a un programma sperimentale di assistenza sanitaria per persone senza residenza anagrafica. Questo programma coinvolgerà 14 città metropolitane italiane, tra cui Roma, Milano, Napoli e Torino, con l’obiettivo di estendere, seppur in via sperimentale, il diritto alla salute alle persone senza fissa dimora che soggiornano regolarmente nel paese.
Secondo dati Istat del 2021, in Italia circa 96.000 persone sono senza dimora e iscritte all’anagrafe, con una distribuzione nazionale che include un 62% di cittadini italiani e un 38% di cittadini stranieri. Tuttavia, queste statistiche escludono una moltitudine di individui “invisibili,” che non entrano in contatto con i servizi ufficiali e vivono ai margini della società.
Nonostante questo importante progresso, il senatore Furfaro e molte associazioni sottolineano come permangano ancora esclusioni significative: persone senza permesso di soggiorno, che rappresentano una fascia estremamente vulnerabile, non sono comprese nel programma di assistenza. Da anni, medici e volontari delle associazioni, come Naga a Milano e Laboratorio Salute Popolare (Lsp) di Bologna, forniscono cure essenziali a migranti e persone senza dimora che, per mancanza di documenti o di un lavoro stabile, non possono accedere al Servizio Sanitario Nazionale. “Siamo felici del risultato ottenuto, ma non possiamo ignorare le barriere significative ancora presenti,” dichiara Stefano Caselli, presidente di Lsp, sottolineando come la legge non copra gli stranieri irregolari, spesso impiegati in settori strategici, come l’agricoltura o i trasporti, in condizioni precarie e senza garanzie di assistenza sanitaria.
Questa normativa rappresenta quindi un primo passo verso una visione più inclusiva del diritto alla salute, ma il percorso appare ancora lungo e complesso. L’obiettivo finale per molti resta quello di un Servizio Sanitario Nazionale veramente universale, capace di riconoscere e assistere tutte le persone che vivono sul territorio, indipendentemente dalla loro residenza o dallo status giuridico.