Rileggendo Carl Gustav Jung mi sono imbattuto in una frase che a guardar bene avevo sempre sottovalutato per l'enorme potere che possiede nella vita quotidiana di ciascuno di noi - oggi più che mai - e, perfino, nel mio lavoro di medico. Il pensiero, frequentemente riportato negli aforismari di tutto il mondo, è il seguente: "Quando analizziamo la persona le strappiamo la maschera e scopriamo che quello che sembrava individuale, alla base è collettivo. La società è organizzata non tanto dalla legge, quanto dalla tendenza all'imitazione. Tutti nasciamo originali e muoriamo copie."
Ora, l'affermazione del grande psichiatra svizzero è, in pratica, un ossimoro, può essere letta cioè in entrambi i versi, il risultato non cambia. E il motivo è semplice. Il processo di assimilazione a comportamenti altrui non dotati di alcuna patente di guida sociale o morale, non è mai stato così capillare, preponderante e pervasivo a ogni livello del vivere civile come in questi ultimi anni.
Questo ha comportato un progressivo declino delle individualità, pietre miliari di una convivenza propulsiva. Un appiattimento dilagante sta ammorbando le nostre vite, già mortificate dalle incalzanti stagnazioni economiche, dalle tempeste pandemiche - passate e future - e dalle apocalittiche trasformazioni climatiche.
Non solo nulla sembra più com'era, ma appare addirittura inutile (o controproducente) ricordare come era stato. Il mio non è antistoricismo alla Nietzsche, ma logica constatazione di un appiattimento delle volontà di differenziarsi, emergere, originalizzare un comportamento fino a renderlo unico e rivoluzionario.
Nessuno si illuda, non ci saranno più i Che Guevara, i Mao Tse-Tun o i Pancho Villa, ma (ad andarci bene) solo - ad andarci bene - fedeli assemblatori dell'innovazione e del calcolo economico, come Bill Gates, Steve Jobs, Mark Zuckerberg ed Elon Musk, che hanno finito col creare consorterie finanziarie (ma presto saranno anche politiche) che oggi, e sempre più, governano (e condizionano) il mondo. Il loro scopo è proprio quello di renderci - come scriveva Jung " - sempre più delle "copie", riproduzioni gli uni degli altri, eserciti di automi da ipnotizzare con questo o quel social, con questa o quella chimera, e "governare" a costo della nostra stessa distruzione. Ma questa comunanza paventata (e presagita) da Jung è anche il rovescio della medaglia in ambito sanitario.
Cerchiamo sempre più una risposta non massificata ai bisogni impellenti di salute che abbiamo davanti. Si brama, in sostanza, come se fosse una conditio sine qua non, la ricetta individuale per tutte le innumerevoli malattie che affliggono l'umanità, la cosiddetta medicina personalizzata (o medicina di precisione), manco fosse la panacea per tutti i mali. Avere la mappatura genomica di ciascuno ci guiderà alla prevenzione, alla diagnosi e alla terapia non più della malattia ma del malato.
Ma questo - temo - ci farà perdere la visione d'insieme, quel substrato comune che ci connota e ci permette anche di costruire sulla teoria dei grandi numeri le risposte planetarie più adeguate al benessere di tutti. Senza questo grandangolo epidemiologico, perderemo di vista proprio la soluzione ai quesiti patologici individuali. Tornando a Jung, in un mondo in cui il bene e il male, la salute e la malattia sembrano sempre più sovrapporsi e, quasi stare dalla stessa parte, separare le singolarità per curarci meglio può celare un rischio, quello di perdere di vista il "senso di umanità" che solo nella forza statistica della collettività trova la sua più alta e nobile espressione.