Conservatori e progressisti non sono poi così diversi

Contro guerre e cambiamenti climatici ecco perché non si riesce a trovare una strategia

conservatori e progressisti non sono poi cosi diversi

Un recente studio scientifico, pubblicato su iScience, ha dimostrato che il cervello di un progressista è diverso, ma poi in fondo neanche più di tanto, da quello di un conservatore...

Napoli.  

Assisto tra il rassegnato e l'impotente alle trasmissioni televisive, politiche o parapolitiche, che guardando al futuro stigmatizzano con fare ora dotto e ora acrimonioso il presente. Cosa sarà il mondo dopo l'Ucraina, Gaza, il Libano e i suoi infuocati e soccombenti dintorni - Israele da sola ha pensato bene di aprire in quell'area ben 5 fronti di guerra contemporaneamente - ad oggi nessuno lo sa.

Peraltro, non finisce tutto con le belligeranze da prima pagina. Nel mondo, secondo l'ultima edizione del Global Peace Index pubblicata a giugno dall'Institute for Economics & Peace, sono attivi ben 56 conflitti, il numero più alto mai registrato dalla fine della seconda guerra mondiale. Saranno tutte solo scaramucce regionali ovvero declineremo (come ripete insistentemente qualcuno) verso un nuovo conflitto mondiale? Come se non bastasse ci si mettono pure i sovranisti (veri o presunti) che mostrano i muscoli per apparire (o essere) sempre più minacciosi e incombenti. Qualcuno di loro, in attesa di (ri)diventare l'uomo più potente del pianeta, viene sparato come un tordo svolazzante un giorno sì e un giorno pure.

Per non parlare dei cambiamenti climatici - conseguenza o meno del buco dell'ozono - con le loro innumerevoli e devastanti conseguenze, a cui dimostriamo ogni giorno di più di non essere minimamente preparati sia sul piano idrogeologico (e questo lo sapevamo già) che su quello organizzativo/preventivo (a cui da sempre vanamente agogniamo). In questo bailamme di gridaioli da strapazzo, c'è chi si traveste da puro e duro e chi da bonario e condiscendente, manco se fosse il mondo di qualcun altro quello che sta sulla graticola - sensu strictu - e che ci chiede di essere salvato. Il risultato comunque non cambia. La Terra ormai è divisa, tra furbi e allocchi, accumulatori seriali di danaro e dispersi nella penombra sgomenta della povertà. Irrimediabilmente.

Ogni tanto le parti si invertono (o solo si confondono) e qualcuno dei guastatori chiede (ai derelitti) pace, sostenibilità, giustizia ed eguaglianza a più non posso. Qualche giorno fa Marco Travaglio ha detto - come suo solito - qualcosa di provocatorio e originale, ma (questa volta) anche di più sobrio ed equilibrato. Si parlava di Prezzolini, Giuseppe Prezzolini, "forse il più grande intellettuale conservatore nell'Italia del novecento", come lo ha definito Giorgia Meloni in occasione del discorso di ringraziamento per il ritiro dalle mani di Elon Musk di un prestigioso premio in terra americana, che il premier aveva citato con le seguenti emblematiche parole: “Chi sa conservare non ha paura del futuro, perché ha imparato le lezioni del passato”.

Potrebbe essere il manifesto di una corrente di pensiero (opposta al progressismo?), e forse lo è, ma non tanto rivoluzionaria da dar sfogo ad accesi dibattiti. Basti dire che nel tempo migliaia di aforismi hanno fatto riferimento, senza alcuna valenza politica, alla incapacità dell'uomo di far tesoro dei suoi errori, di apprendere ricordando. Eppure, per quanto semplice, questa verità è puntualmente e inconfutabilmente inapplicata, che si parli di guerre di ogni ordine e grado o di cataclismi (diciamo) naturali. E così, anche su questo assioma, in una trasmissione televisiva che vedeva bellicosi contendenti in studio, costoro sono stati capaci di conflittuare, fino a chiedersi reciprocamente conto di ascendenti e natali.

E sì perchè se Michela Ponzani - storica e saggista di sinistra - ha definito "sanguinario" Giuseppe Prezzolini e Marco Travaglio le ha dato a buona ragione addosso definendo quel termine una "colossale sciocchezza", vuol dire (forse) che il mondo ha una speranza. Di lucidità, buonsenso e comunanza. Niente di più, per carità.

E tutto ciò con buona pace di un recente studio scientifico, pubblicato su iScience, che ha dimostrato che il cervello di un progressista è diverso, ma poi in fondo neanche più di tanto, da quello di un conservatore. Almeno, citando quella sorprendente ricerca, potremo dire che da qualunque parte politica stiamo, anche i nostri tratti neurobiologici ci dicono che quello che ci accomuna è comunque di più di quello che ci separa. Non dovrebbe, perciò, mai mancare un punto di ascolto e di incontro, e quale migliore occasione di un consesso di opposti politici da salotto per ricordare al mondo che cercare quel lato condiviso (e trovarlo) è il modo migliore per rispettare la nostra natura e il nostro essere. Com'è poi normale che sia, di qualunque specie di cervello siamo dotati.