La mia su Chiara Ferragni o giù (molto più giù) di lì

E' del valore simbolico di Chiara Ferragni di cui parlo, che diventa economico in un secondo tempo

la mia su chiara ferragni o giu molto piu giu di li
Napoli.  

Ho una personale opinione su Chiara Ferragni e il ciclone che l'ha investita non in linea con quella dominante, in quanto non strettamente attinente al referendum in corso ai suoi danni né appecorata alla clamorosa esplosione di defollowerati, delusi e inferociti in libera uscita in ogni anfratto della pubblica informazione (o presunta tale).

Le notizie su di lei si sprecano, andando dalla conta meticolosa del danaro incassato e di quello da rimborsare al popolo dei danneggiati alle sue ormai incalzanti crisi psichiche e perfino matrimoniali. Ogni ragguaglio o aggiornamento della vicenda, anche il più banale, riempie senza soluzione di continuità le nostre cronache di questi ultimi giorni, perfino più delle guerre e delle difficoltà economiche da esse derivate. La mia posizione su tutta questa storia resta al momento di vigile attesa. Non mi è del tutto chiaro, infatti, come la bella influencer si guadagni da vivere - non lo dico per spocchia, ve lo assicuro, al più per ignoranza o per superficialità - e oltretutto ne capisco poco di brand, promozioni, fashion, settimane della moda e opere pie. Di pandori però ne so molto di più, questo è certo, sarà perché li mangio da sempre e con particolare gusto, avendo - lo confesso - per qualcuno di loro una vera e propria dipendenza, per fortuna limitata al solo periodo delle feste natalizie.

Anche di Fondazioni ne so qualcosa. Faccio, infatti, parte di una che si occupa di cefalee, ma a differenza di tutte quelle milionarie citate nella vicenda della imprenditrice e blogger cremonese, noi per tirare su il necessario per pagarci le spese e fare un po' di ricerca non possiamo fare a meno di sudare le classiche sette camicie, qualcuna anche rattoppata. Quel poco di certo che penso sull'argomento provo, tuttavia, comunque a spiegarlo.

La bella e versatile fanciulla lombarda è figlia del nostro tempo, e se appare scaltra, egocentrica e opportunista è solo perché personifica un mondo che lo è, ogni giorno di più, almeno quanto lei, solo con minore capacità o fortuna, e che - a dirla senza giri di parole - farebbe di tutto per assomigliarle e per godere dei suoi lauti guadagni.

Beninteso quelli legittimi. Non intendo accomunare, infatti, un'attività promozionale benefica con un illecito, meritevole di ben più di una multa, tanto più se compiuto alle spalle di consumatori inconsapevoli o raggirati. È del valore simbolico di Chiara Ferragni di cui parlo, che diventa economico solo in un secondo tempo, della sua "trasfigurazione divina". Non si spiega altrimenti sennò come sia possibile che l'imprenditrice, blogger, designer e modella italiana - quanta scienza in una persona sola - con i suoi pandori e le sue bambole pare anch'esse contraffatte, sia diventata l'argomento del giorno (e spesso anche il capro espiatorio) di dibattiti televisivi, telegiornali, articoli di quotidiani e periodici, interviste a opinionisti veri o presunti e a gente comune, crociate di moralisti a buon mercato (dal volto accigliato e il dito puntato) sui social, nei bar e nelle piazze, e perfino delle conferenze stampa del nostro presidente del consiglio. Ognuno ne parla, ognuno ne ha un'opinione netta e tagliente (beati loro, a differenza mia), ognuno, chi più inopportunamente e chi meno, chi più volgarmente e chi più sottilmente, si rammarica, si indigna, si scandalizza, si dissocia o si allontana da uno ieri (appena) di cieca osservanza e di incondizionata sottomissione. Ma la cosa che mi lascia più sconcertato e triste è domandarmi dove questo variegato e livoroso mondo ha vissuto fino a ora, chi sono realmente i suoi abitanti, quali sono le loro attività, come passano le loro giornate, quali prodotti acquistano e secondo quali criteri, a quali social network sono iscritti, quante ore al giorno passano on line. E, come e più di loro, i loro figli.

Chiara Ferragni l'abbiamo creata noi. Anzi, di più, Chiara Ferragni siamo noi. La moglie prima tanto acclamata e tanto invidiata di quell'altro nuovo bersaglio di ogni genere di contumelie che risponde al nome di Fedez (ahimè insieme anche ai loro figli) personifica, in altre parole, la fatuità di cui siamo pervasi, il bieco consumismo che ci divora, il formalismo senza un briciolo di cultura con cui comunichiamo e scriviamo, il doppiogiochismo comodo e in fondo smascherabile, l'arrivismo per un futuro peggiore del passato, il dio denaro a prezzo della solidarietà e dell'armonia, l'insicurezza e la solitudine che ci fanno tanto da padrone da obbligarci alla fine a chiedere a qualcuno cosa indossare, chi essere, cosa pensare.

Ragazzine di 12 anni che costruiscono imperi economici condizionando non solo i loro coetanei - e questo sarebbe nella sua tragicità anche quasi normale - ma anche e soprattutto i loro genitori, che finiscono così per scimmiottare sfacciatamente figli e nipoti e cadere, a loro volta, in ennesime grottesche spirali di mediocrità. Più odiamo noi stessi e ci vergogniamo delle nostre fragilità e delle nostre paure e più saremo pronti a detestare, attaccare, aborrire chi quelle insicurezze ce le ha celate, lenite o, fintamente, guarite.

Allora la domanda più legittima è: "Davvero avevamo bisogno di un pandoro spacciato per beneficenza per accorgerci di una realtà svuotata di contenuti e certezze, che pullula solo e tristemente di influencer ignoranti come capre e tik toker vanesi e spettrali?" Penso proprio di no. Eppure, nel marasma di questo cosmico e comico processo mediatico contro la Ferragni e il mondo che lei rappresenta, pare che tutti ne stiano approfittando per sfilarsi dai grandi veri interrogativi che li trascinano nel suo stesso gorgo, autoassolversi a pieni voti e cercare, alla velocità della luce, un altro dio - di nuovo sufficientemente mistificato e posticcio - da idolatrare e (alla prima occasione) distruggere.