Senza studi classici si perde un po' di sé stessi

Non è positivo il calo drammatico e inarrestabile delle iscrizioni agli istituti classici superiori

senza studi classici si perde un po di se stessi
Napoli.  

Mi accade spesso di chiedermi se la cultura del nostro paese sia in crescita o in declino rispetto a quella dei nostri padri e dei nostri nonni, o anche solo a quella dei nostri anni giovanili. Lo è certamente rispetto al resto d'Europa.

Sforniamo un terzo in meno di laureati rispetto alla media europea, il doppio di giovani che si fermano alla terza media e un quarto in più di ragazzi che entra a pieno titolo a far parte del già pletorico mondo del personale non qualificato, con un 10% in meno che consegue un titolo di studio nelle professioni qualificate e tecniche. Resta poi da stendere un velo pietoso sul mancato dialogo tra formazione e mondo del lavoro dove in Italia, pur in qualche modo a macchia di leopardo, siamo all'epoca della pietra. Siamo, infine, in Europa, dietro solo a Spagna, Malta e Romania quanto ad abbandono degli studi.

Non stupisce, perciò, che nella fascia di età compresa tra 25 e 29 anni finiamo con l'avere 20 punti percentuali in meno della media europea per occupazione giovanile. Non voglio neanche ripercorrere le consuete rampogne - divenute anche per me ormai abituali - sull'uso smodato, se non esclusivo e illimitato, dei social e del web da parte di chi come (soprattutto) i nostri giovani ha invece una vita ancora da vivere e sogni - per loro e per chi dopo di loro - da formulare e, possibilmente, realizzare, ma qualcosa conterà il fatto che ormai figli e nipoti si muovano, in Italia più che in Europa, con un consumo medio giornaliero molto prossimo al 100% di questi pur utili strumenti di relazione sociale e, per chi riesce, di approfondimento culturale e spirituale.

Non so se questi dati sconcertanti di una pandemia sottoculturale così imperante e pervasiva c'entrino o meno con i percorsi scolastici seguiti dai nostri giovani, ma mi lascia lo stesso perplesso il calo drammatico e inarrestabile delle iscrizioni agli istituti classici superiori (le scuole secondarie di secondo grado, così si chiamano ora). Secondo un recentissimo rapporto del Ministero dell'Istruzione e del Merito, "nonostante la percentuale di studenti che scelgono il liceo sia molto elevata e in crescita rispetto allo scorso anno (57,1% contro il 56,6%), il classico viene preferito ormai solo dal 5,8% dei ragazzi mentre un anno fa era al 6,2%".

Un declino esponenziale, se si pensa che fino alla fine degli anni '60 il liceo classico era la scelta di gran lunga prevalente dei giovani - anche perché era la sola che consentiva l'accesso a tutte le università, giurisprudenza e lettere comprese - e che in soli 4 anni, tra il 2013 e il 2017 questo indirizzo di studi ha perso ben 10 punti percentuali di iscritti. Ciò, secondo l'onorevole Paola Frassinetti, attuale sottosegretario nello stesso ministero, va fortemente contrastato in quanto "lo studio delle lingue classiche induce lo studente a stimolare la logica, così come un problema di matematica". È dello stesso parere il famoso matematico - badate bene un matematico - Pier Giorgio Odifreddi, il quale in una intervista ha recentemente sottolineato "i valori unici del liceo classico" e ha sostenuto che tale istituto insegna “cosa serve per non essere servi” e "offre una comprensione profonda dell’essenza umana".

Questo aspetto, secondo lui, "prepara gli studenti a una vasta gamma di sfide nella vita, oltre a fornire una solida base culturale e intellettuale". Già il grande scrittore emiliano Giovannino Guareschi, il padre di "Peppone e don Camillo", come preconizzando la recente perdita - oggi ampiamente premiata dagli studenti - dello studio del latino anche negli istituti scientifici, più di 50 anni scriveva: "Il latino è una lingua precisa, essenziale. Verrà abbandonata non perché inadeguata alle nuove esigenze del progresso, ma perché gli uomini nuovi non saranno più adeguati ad essa. Quando inizierà l’era dei demagoghi, dei ciarlatani, una lingua come quella latina non potrà più servire e qualsiasi cafone potrà impunemente tenere un discorso pubblico e parlare in modo tale da non essere cacciato a calci giù dalla tribuna. E il segreto consisterà nel fatto che egli, sfruttando un frasario approssimativo, elusivo e di gradevole effetto 'sonoro' potrà parlare per un’ora senza dire niente. Cosa impossibile col latino."

Chi come me è cresciuto in un tempo che sembra ormai lontanissimo  e anacronistico - agli occhi dei miei figli certamente - in cui lo scientifico era considerato (per coloro che non erano più matematici di Albert Einstein), almeno in casa mia, il ripiego del pavido o dello sfaticato, questo inarrestabile declino fa male e anche un po' tristezza. Tradurre Cicerone, Lucrezio, Tacito o Catullo non è, infatti, solo un esercizio di conoscenza e perizia linguistica, è anche una prova di puntualità matematica e diligenza filosofica allo stesso tempo, il passaggio, solo apparentemente angusto e faticoso, per accedere a una cultura della metrica e dell'armonia e a una libertà intellettuale autentica e ragionata, conquistate peraltro dominando lo spettro dell'universalità e del sogno comune a danno di quello dell'introversione e dell'autismo. Perchè c'è una libertà che ci segue solo se riusciamo ad apprendere e far pace con ciò che ci precede.

Non provare più le trionfali emozioni che dà lo studio delle lingue antiche - questo io e molti come me provavamo nello studiarle -  priva i ragazzi di oggi di un pezzo di strada (non solo formativa) che non vale solo per i loro studi ma può andare in loro soccorso anche quando devono cercare soluzioni a una impasse lavorativa o a uno stallo personale e affettivo. Declinare il latino e il greco apre, infatti, una finestra sul sapere, anche di sé stessi, che nessuna articolata equazione matematica può mai contraccambiare. E - a essere apologetici - lo fa instillando un piacere che assomiglia molto al canto melodioso e diffondente delle Muse o a quello ipnotico e remoto delle Sirene. Chi ne è stato ammaliato come me sa di cosa parlo, in caso contrario si continui a vivere di un opinionismo becero e frammentato, di cui peraltro traboccano scuole e università, il cui risultato finale sarà solo quello di rendere gli studenti italiani il fanalino di coda in Europa per valori culturali, personali, etici e sociali.

Perché, alla fine, è questo quello che fa chi forma poco e male, non guida su strade ardite, non risveglia passioni, non insegna la pluralità e il rispetto per gli altri (donne comprese), spinge più fuori che dentro le comunità, muta gioie in frustrazioni. Non dico che il mio elogio del classicismo, ovviamente riveduto e corretto dalla modernità, quale strumento di una nuova epopea scolastica, ovvierebbe a tutto ciò - anche se in cuor mio lo penso - né credo che voltarsi indietro sia il solo modo per andare avanti con più profitto di oggi, ma sono certo che senza quelle basi storiche, filosofiche, politiche, semantiche e, perché no, religiose, quello che saremo sarà molto meno di quello che avremmo potuto essere.