Basta poco per scoprirci razzisti, per ridare dimensione e verità ai sentimenti negativi, violenti e intolleranti che covano anche nella pancia della Napoli tollerante, colorata e accogliente raccontata in questi anni.
Basta uscire dalle narrazioni preconfezionate, dalle visioni ovattate, dalle cartoline vendute ai turisti e al mondo. Basta spostare un po’ quella tenda di bellezze e buoni sentimenti che copre e nasconde le sofferenze vere e tangibili di un popolo come quello napoletano che è tanto buono quanto cattivo, che è tanto accogliente quanto respingente, che è capace di integrare e di respingere, proprio come ogni altro popolo, con le stesse paure, gli stessi sentimenti e le stesse passioni.
Il racconto di una Napoli che non si piega al razzismo è ormai un falso, utile solo a non confrontarsi con il problema reale. Se un gruppo di ragazzini, dopo aver rubato una cover ad un ambulante straniero, arriva a tendergli un agguato e a ferirlo riducendolo in fin di vita, significa che quel velo di pudore e di finzione è stata finalmente stracciata.
Per giorni si è discusso di quanto fosse razzista la scelta di non vender i biglietti di Juventus-Napoli ai nati in Campania, individuando, giustamente, in quella scelta folle, un chiaro intento di discriminazione etnica.
Oggi però la violenza cruda di stampo razzista ha colpito la città e non si sono sollevati gli scudi e le indignazioni corali. Il silenzio cade sempre su certi argomenti e copre ogni atto di razzismo derubricandolo alla marginalità.
Eppure le aggressioni razziste sono continue e le vittime hanno nomi, cognomi e segni sulla pelle. Le loro storie purtroppo però nessuno le vuole sentire.
Storie come quella di Amir Gassama, attaccante del Gragnano, classe 1999 di origini guineane, aggredito il 23 novembre del 2018 a piazza Carlo III per il solo fatto di essere di colore.
O come quella di Yacoubou Ibrahim del Benin accerchiato da un gruppo di ragazzini nella Sanità che gli hanno spruzzato lo spray urticante negli occhi mentre se la ridevano.
Oppure come l’incubo vissuto da Abrar, arrivato da poco a Napoli e picchiato da una decina di ragazzini con spranghe e bastoni in pieno centro, su corso Umberto.
Storie quotidiane che svelano una Napoli incattivita e razzista come lo è diventato tutto il Paese, tutta l’Europa e forse tutto il mondo. Un razzismo che si genera in una fase di vuoto e di abbandono sociale, politico e culturale delle società occidentali.
Storie che non vanno raccontate perché rovinano lo story telling di una Napoli tollerante e accogliente che non chiude le porte e che non si gira dall’altra parte.
Il Sindaco Lugi de Magistris intento a vendersi una Napoli città della pace, dell’amore e modello della nuova sinistra mondiale, ha derubricato l’accaduto come semplice atto di “bullismo” nel tentativo di tenere ancora in piedi la finzione di una città dove la violenza non esiste.
”Non si può affermare con certezza che si sia trattato di un fenomeno di razzismo - ha detto il primo cittadino - ma sicuramente si è trattato di un grave atto di bullismo che si configura sempre come l'aggressione a chi è apertamente più debole o è stigmatizzato come tale”.
Napoli è una città dove spesso le vittime ed i carnefici si confondono, si sovrappongono, si mescolano. Una città dove il bene e il male hanno valori assoluti e spesso le sfumature sono difficili da vedere. Una città dove se ad un immigrato, solo per il colore della sua pelle, viene spappolato volto e cranio da un gruppo di ragazzini, bisogna raccontare che è solo un gioco folle fatto da bulletti esuberanti.
Continuare a raccontare una città diversa da quella reale, escludere dal racconto urbano ciò che non piace e che spaventa, non farà sparire le negatività anzi. Non affrontare i problemi spesso può essere utile nell’immediato ma nel lungo periodo diventa pericoloso perché a furia di lasciar covare la braci sotto la cenere prima o poi divampa l’incendio.