Girato in condizioni proibitive e con un messaggio che sfida apertamente le autorità, The Seed of the Sacred Fig è più di un film: è un atto di resistenza artistica. Il regista iraniano Mohammad Rasoulof, noto per le sue denunce contro il regime del suo paese, costruisce una storia che intreccia dramma familiare, thriller psicologico e critica sociale, illuminando la realtà opprimente di chi vive sotto un controllo costante.
Il film, la cui produzione è stata accompagnata da interrogatori e repressioni, si apre con una dichiarazione d’intenti: “Quando non c’è una via, una via deve essere creata.” Rasoulof, che ora vive in esilio dopo essere stato condannato a otto anni di prigione e alla fustigazione, usa il cinema per dar voce a ciò che il regime vorrebbe silenziare.
Una famiglia come specchio della società
Al centro della narrazione ci sono Iman, un neonominato giudice del tribunale rivoluzionario di Teheran, sua moglie Najmeh e le loro figlie, Rezvan e Sana. Apparentemente, Iman ha raggiunto una posizione di prestigio, ma il suo incarico si rivela presto una trappola morale. Mentre cerca di mantenere la propria integrità in un sistema che premia la cieca obbedienza, il peso delle aspettative familiari e sociali diventa insostenibile.
Le dinamiche tra i personaggi riflettono la tensione costante tra ambizione personale e senso di giustizia. Najmeh vede nella promozione del marito una possibilità di riscatto per la famiglia, mentre Rezvan, giovane donna consapevole e idealista, incarna la crescente ribellione di una generazione che rifiuta il compromesso.
Il controllo come arma psicologica
Il film esplora con acume un tema centrale nella società contemporanea: il controllo esercitato attraverso la tecnologia. Rasoulof ci mostra un mondo in cui ogni smartphone può trasformarsi in un’arma di sorveglianza, non solo nelle mani del governo, ma anche tra vicini, colleghi e persino familiari. Questa dinamica alimenta un clima di sospetto e paura, in cui la privacy è un lusso e la libertà un’utopia.
La scelta di rompere la quarta parete amplifica l’effetto destabilizzante della narrazione. In alcune scene, i personaggi si rivolgono direttamente alla telecamera, quasi a chiamare in causa lo spettatore, rendendolo complice di un sistema che osserva e giudica.
Un atto di coraggio artistico
La realizzazione del film è di per sé un’impresa straordinaria. Girato in segreto, con un cast e una troupe consapevoli dei rischi, The Seed of the Sacred Fig testimonia la determinazione di Rasoulof a raccontare la verità, nonostante la censura e le intimidazioni.
Il regista utilizza una fotografia minimalista per creare un’atmosfera claustrofobica, in cui gli spazi domestici diventano metafora di una prigione sociale. Il ritmo del film, lento e riflessivo, consente allo spettatore di immergersi nelle emozioni e nei dilemmi morali dei personaggi.
Un messaggio universale
Sebbene il film sia radicato nella realtà iraniana, il suo messaggio va oltre i confini geografici. Rasoulof ci invita a riflettere su quanto il controllo e la sorveglianza possano erodere le fondamenta della libertà e della dignità umana.
The Seed of the Sacred non è solo una denuncia contro un regime specifico, ma un monito universale sui pericoli di una società che sacrifica l’etica sull’altare del potere. Rasoulof ci ricorda che, anche nei momenti più bui, l’arte può essere un faro di resistenza e speranza.