In queste settimane si sono intrecciati eventi collettivi, dalla scomparsa di campioni alle commemorazioni di eventi che restano ancora senza una verità accertata. Ci si è commossi davanti al ricordo di Diego Armando Maradona, ci si è riscoperti ancora una volta italiani davanti alla morte di Pablito Rossi e ci si è quasi dimenticati del 12 dicembre, delle bombe, dei misteri, delle morti che chiedono ancora giustizia.
Il delitto Pasolini è un evento nella storia italiana, con tutta la tipicità di una storia italiana, la brutalità, il finto buonismo, i segreti, i depistaggi…, che ha racchiuso tutti i sentimenti che viviamo in questi giorni. Il mistero che avvolge ancora ciò che accadde all’idroscalo la notte tra l’uno e il due novembre, il falso colpevole Pelosi che inizia a dire al verità solo nel 2006, una verità che si delinea ma per la quale “non abbiamo le prove”. Anche allora ci fu lo sgomento per ciò che era stato spento, ci fu il dispiacere per non poter più vedere all’opera un fuoriclasse inimitabili. Anche allora ci si divise, si affollarono le polemiche, ci fu chi non volle vedere, chi provò a voltarsi dall’altra parte, ma ci fu anche chi, sull’onda emotiva di indignazione e rabbia, iniziò a costruire pagine importanti di giornalismo, di cultura, di inchiesta, di civismo e partecipazione.
l’Italia ancora oggi dimentica e ancora oggi preferisce non ricordare, ma il contributo culturale di Pasolini resta come un marchio indelebile nell’animo di un popolo che, ancora oggi, non gli ha consegnato il rispetto che merita.
Nelle parole che lo scrittore Alberto Moravia pronunciò al funerale di Pasolini, c’è l’Italia migliore, quella che ha capito subito di essere stata privata di un poeta, di uno scrittore, di un saggista, di un regista, di un intellettuale diverso, innovativo e impegnato come Pier Paolo Pasolini che rappresenterà per sempre un fondamento della cultura italiana.
Abbiamo perduto anche il simile. Cosa intendo per simile: intendo che lui ha fatto delle cose, si è allineato nella nostra cultura, accanto ai nostri maggiori scrittori, ai nostri maggiori registi. In questo era simile, cioè era un elemento prezioso di qualsiasi società. Qualsiasi società sarebbe stata contenta di avere Pasolini tra le sue file.
Abbiamo perso prima di tutto un poeta. E poeti non ce ne sono tanti nel mondo, ne nascono tre o quattro soltanto in un secolo. Quando sarà finito questo secolo, Pasolini sarà tra i pochissimi che conteranno come poeta.
Il poeta dovrebbe esser sacro.
Poi abbiamo perduto anche un romanziere. Il romanziere delle borgate, il romanziere dei ragazzi di vita, della vita violenta. Un romanziere che aveva scritto due romanzi anch’essi esemplari, nei quali, accanto a un’osservazione molto realistica, c’erano delle soluzioni linguistiche, delle soluzioni, diciamo così, tra il dialetto e la lingua italiana che erano anch’esse stranamente nuove.
Poi abbiamo perso un regista che tutti conoscono, no? Pasolini fu la lezione dei giapponesi, fu la lezione del cinema migliore europeo. Ha fatto poi una serie di film alcuni dei quali sono così ispirati a quel suo realismo che io chiamo romanico, cioè un realismo arcaico, un realismo gentile e al tempo stesso misterioso. Altri ispirati ai miti, il mito di Edipo per esempio. Poi ancora al grande suo mito, il mito del sottoproletariato, il quale era portatore, secondo Pasolini, e questo l’ha spiegato in tutti i suoi film e i suoi romanzi, era portatore di una umiltà che potrebbe riportare a una palingenesi del mondo.
Questo mito lui l’ha illustrato anche per esempio nell’ultimo film, che si chiama Il fiore delle Mille e una notte. Lì si vede come questo schema del sottoproletariato, questo schema dell’umiltà dei poveri, Pasolini l’aveva esteso in fondo a tutto il Terzo Mondo e alla cultura del Terzo Mondo.
Infine, abbiamo perduto un saggista. Vorrei dire due parole particolari su questo saggista. Ora il saggista era anche quello una nuova attività, e a cosa corrispondeva questa nuova attività? Corrispondeva al suo interesse civico e qui si viene a un altro aspetto di Pasolini. Benché fosse uno scrittore con dei fermenti decadentistici, benché fosse estremamente raffinato e manieristico, tuttavia aveva un’attenzione per i problemi sociali del suo paese, per lo sviluppo di questo paese. Un’attenzione diciamolo pure patriottica che pochi hanno avuto.
Tutto questo l’Italia l’ha perduto, ha perduto un uomo prezioso che era nel fiore degli anni. Ora io dico: quest’immagine che mi perseguita, di Pasolini che fugge a piedi, è inseguito da qualche cosa che non ha volto e che è quello che l’ha ucciso, è un’immagine emblematica di questo Paese. Cioè un’immagine che deve spingerci a migliorare questo Paese come Pasolini stesso avrebbe voluto.