Violenze in carcere: la denuncia di un sistema abbandonato durante il Covid

Il maxi-processo in corso riguarda 105 imputati, la maggior parte dei quali sono agenti penitenziari

violenze in carcere la denuncia di un sistema abbandonato durante il covid
Santa Maria Capua Vetere.  

Nel maxi-processo che sta tenendo banco a Napoli, emergono dettagli inquietanti sulle gravi violenze avvenute nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, in provincia di Caserta, durante la prima fase della pandemia da Covid-19. La testimonianza di Francesco Basentini, ex capo del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria (Dap), ha fatto luce sulle pesanti difficoltà organizzative e sul disinteresse dei vertici nei confronti delle problematiche vissute dalla struttura durante il lockdown.

Un carcere in difficoltà: il trasferimento di detenuti e le criticità

La testimonianza di Basentini ha messo in evidenza come il carcere di Santa Maria Capua Vetere fosse già in grave difficoltà prima dell'emergenza sanitaria. Durante il Covid, però, la situazione è peggiorata. Il Dap, in un contesto già complesso, ha trasferito nella struttura detenuti coinvolti in violente rivolte in altri penitenziari italiani, contribuendo a creare un clima di tensione che ha fatto esplodere la situazione. Il risultato è stato il tragico episodio del 6 aprile 2020, quando i poliziotti penitenziari hanno messo in atto violenze ai danni di quasi 300 detenuti del reparto Nilo, scatenando un'ondata di indignazione.

Una struttura abbandonata: mancanza di comunicazione e gestione carente

Francesco Basentini, che ricopriva il ruolo di capo del Dap durante il periodo critico del lockdown, ha confermato in aula che la struttura di Santa Maria Capua Vetere era stata sostanzialmente "abbandonata" dalla dirigenza, con un "scollamento" tra la direzione del carcere e il comando della polizia penitenziaria. La direttrice del carcere, per motivi di salute, non era presente, e la gestione fu affidata a una reggente, con difficoltà a risolvere le problematiche quotidiane. Questo vuoto di leadership ha contribuito a una situazione di caos, che ha esacerbato le tensioni interne e favorito la violenza tra detenuti e agenti.

Il processo: 105 imputati e le responsabilità del Dap

Il maxi-processo in corso riguarda 105 imputati, la maggior parte dei quali sono agenti penitenziari, ma vi figurano anche funzionari del Dap, tra cui l'allora provveditore regionale campano Antonio Fullone, e medici dell'Asl di Caserta. L'ex capo del Dap Basentini ha già risposto alle domande del pm Alessandro Milita, ma la sua testimonianza non è ancora conclusa. Proseguendo la sua deposizione, l'ex dirigente ha dovuto fare i conti con l'inaffidabilità e la scarsa organizzazione di un sistema che, nel periodo critico della pandemia, sembrava più focalizzato sull’emergenza sanitaria che sulla gestione delle strutture penitenziarie.

Il 13 gennaio la testimonianza continua

Le domande al testimone proseguiranno anche il 13 gennaio, con il pm che ha annunciato di voler approfondire ulteriormente il tema delle criticità vissute dal carcere durante il lockdown. Le nuove risposte potrebbero essere decisive per chiarire le responsabilità dei vertici del Dap e fare luce su come una situazione già critica sia degenerata, portando a uno degli episodi di violenza più gravi della storia recente delle carceri italiane. Il caso di Santa Maria Capua Vetere non è un episodio isolato: la violenza e il maltrattamento all'interno delle carceri italiane sono temi ricorrenti, e la vicenda solleva interrogativi sulle condizioni di vita dei detenuti e sulle gravi carenze strutturali del sistema penitenziario italiano. Il processo in corso potrebbe segnare un punto di svolta nella lotta per i diritti umani all’interno delle carceri.