Pietro Lagnese Vescovo di Caserta
Natale che cos’è? Mi piace pormi la domanda e mi aiuta non dare per scontata la risposta, per evitarmi il rischio di abituarmi a una festa che, oggi più che mai, forse a molti dice poco o niente, tanto l’abbiamo neutralizzata e resa mondana. Al punto che, nelle scorse settimane, qualcuno ha suggerito di evitare, nel nostro modo di parlare, l’espressione “Buon Natale” sostituendola con una più generica “Buone feste”, ritenendo la prima troppo confessionale e, perciò, discriminatoria nei confronti di coloro che, nel nostro continente, non sono o non sentono più di dirsi cristiani.
L'improvvida e anacronistica indicazione, nell’intento di realizzare un'Europa più inclusiva, - ma l’inclusione, mi pare di poter dire, si costruisce con ben altre scelte, di accoglienza innanzitutto, e certamente non mortificando le identità spirituali e culturali dei popoli - è stata fortunatamente ritirata e riposta, speriamo definitivamente, nel cassetto.
Ma intanto, forse ancora di più vale la pena di domandarsi: Natale che cos’è? Natale - mi vien da dire - è una festa scandalosa: la festa di Dio che si abbassa fino a farsi uomo, dell’Onnipotente che diventa un debole bambino, dell’Infinito che entra nei limiti della carne umana.
A Natale, infatti, celebriamo il mistero di Dio che - diceva lo scorso anno Papa Francesco - “non ci ha guardato dall’alto, da lontano, non ci è passato accanto, non ha avuto ribrezzo della nostra miseria, non si è rivestito di un corpo apparente, ma ha assunto pienamente la nostra natura e la nostra condizione umana. Non ha lasciato fuori nulla, eccetto il peccato: l’unica cosa che Lui non ha. Tutta l’umanità è in Lui.
Egli ha preso tutto ciò che siamo, così come siamo”. Sì, Natale è questo: una festa scandalosa! Più e meglio di molti anni di catechismo e di tanti studi di teologia, mi aiutò a capirlo, all’incirca trenta anni fa, un giovane marocchino che, come tanti altri in quegli anni, abitava in un basso senza servizi igienici a pochi metri dalla chiesa di cui ero parroco.
Ricordo come se fosse adesso che era il 7 gennaio, il giorno dopo la festa dell’Epifania: mi aveva incontrato per strada al mattino e mi aveva chiesto se la sera sarebbe stato possibile, per lui e per un suo compagno, fare una doccia nei locali della sacrestia.
Vennero puntuali all’appuntamento; la Messa era finita da un bel po' e tutta la gente era andata via. Poco prima, con alcuni collaboratori, avevamo tolto dal presbiterio le statue della Natività e sul mobile della sacrestia c’era poggiata ancora quella di Gesù Bambino. Mentre il suo amico faceva la doccia, il giovane, nell’attesa, conversava con me e, con lo sguardo più che con le parole, mi chiese ragione di quella statua di gesso che era là.
Alla sua domanda, provai ad annunciargli il mistero dell’Incarnazione e gli dissi che quella immagine rappresentava Gesù Bambino, il Verbo fattosi Carne, il Figlio di Dio divenuto uomo come noi. Conservo ancora fissa nella mente la sua meraviglia; ricordo che, senza volerlo, portò le mani al volto, come a dire tutto il suo sconcerto e tutto il suo stupore e con gli occhi pareva che mi chiedesse: cosa stai dicendo, come puoi affermare questo?
Capivo di aver detto una cosa troppo grossa, scandalosa, impossibile da accettare. Ripresi a parlargli nel tentativo di spiegarmi meglio, ma avvertivo in modo evidente che non era facile per lui aprirsi a quel Mistero. Poi, da buoni amici, passammo a parlare d’altro, rivedendoci ancora qualche volta fino a che non lasciò il paese.
Ogni volta che viene Natale mi ricordo di lui; mi viene alla mente quell’episodio e il suo sconcerto davanti alla statua di Gesù Bambino; e sento, nel mio cuore, il bisogno di dirgli grazie per avermi aiutato a non abituarmi alla mia fede, a sorprendermi dell’evento cristiano e, in particolare, a guardare, con meraviglia, al mistero del Verbo fattosi carne. Sì, il Natale è un fatto scandaloso: Dio che si fa uomo, che accetta di assumere la mia umanità.
Quando nei Vangeli leggo che il Figlio di Dio nacque in una mangiatoia perché Maria e Giuseppe non trovarono per lui nient’altro che quell’alloggio di fortuna e poi - proprio come i migranti e i profughi di oggi - che furono costretti a fuggire in Egitto, perché Erode cercava di uccidere il Bambino, mi viene da pensare che Natale è la festa di un Dio che ha lasciato la sua Casa e ha preso la sua dimora in mezzo a noi!
E penso: lo so perché lo fece, lo fece per amore. Perciò ci venne a cercare e decise di stare con noi. E mi ridico: lasciò il Cielo costretto dall’Amore: L’Amor che move il sole e l’altre stelle lo mosse a venire tra noi e lo rese per noi un Dio senza Casa. Sì, Natale è questo.
E questo è ciò che abbiamo bisogno di ascoltare e di sapere: sapere che siamo tutti pensati e amati da Dio, che Dio è innamorato dell’uomo, chiunque egli sia e qualunque sia la sua storia e il suo peccato, innamorato della sua umanità piccola e fragile. Di questo amore hanno bisogno di fare esperienza innanzitutto quelli che si sentono non amati: i poveri, i soli e gli ammalati.
Per loro e per tutti sento, quale vescovo di Caserta, che questa è la mia missione: essere segno e strumento di quell’amore; segno e strumento della presenza del Signore che si fa vicino ad ogni uomo, che cammina per le nostre strade, e lì, per strada, incontra poveri e peccatori e a tutti annuncia, con i fatti, che Dio a tutti viene incontro, perché coloro che lo cercano lo possano trovare.
Sento che questa è anche la grande missione della Chiesa: aiutare gli uomini e le donne di tutti i tempi e di ogni luogo a fare esperienza dell’amore di Dio che sempre continua a cercarci. L’esperienza sinodale che stiamo vivendo a questo vuole condurci: ad essere una Chiesa che somiglia di più al Suo Signore, che è un Dio che esce, che si mette a cercare l’uomo, si pone sulle sue tracce, che non si rassegna a vederlo perso lontano da Lui e non si dà pace finché non lo trova e non lo abbraccia. Cos’è Natale? Natale è questo: Dio si fa carne per questo! Per questo viene in mezzo a noi. Per questo si fa uomo nel grembo di Maria.