La verità sul referendum? Non ce ne frega un tubo

Il Paese sembra spaccato tra Sì e No. In realtà molti ignorano i motivi del voto.

I giovani e il Sud sono per il No a prescindere. Dall'altra parte pensionati e benestanti. Ma tanti pensano la stessa cosa: che vinca uno o l'altro la nostra vita non cambia...

di Luciano Trapanese

Diciamo la verità: del referendum costituzionale c'è una moltitudine di elettori che non se ne frega un tubo. E di fronte all'immagine di un'Italia spaccata tra il Sì e il No, c'è in realtà un buon numero di persone che non sa neppure perché si vota, o – e sono tanti – ha già deciso. Ma a prescindere dalle ragioni della consultazione popolare.

Non la pensate così? Beh, chiaro: in questo caso fate parte di quella schiera di persone “informate”. Ma provate a chiedere, così a campione, tra i vostri conoscenti, se hanno capito il motivo del referendum. Noi lo abbiamo fatto. Constatando che ben pochi sanno cos'è il bicameralismo paritario, il combinato disposto, la nuova legge elettorale, il Cnel da abolire, e soprattutto cosa cambia nell'architettura costituzionale del Paese e le possibili conseguenze in caso di vittoria del Sì.

Direte: colpa dei politici che non hanno comunicato e bene il motivo del referendum. E colpa anche dell'informazione, che ha veicolato solo le polemiche e non le ragioni. Magari peccando spesso di partigianeria. Forse è vero. Ma non basta.

I risultati delle indagini demoscopiche effettuate ripetutamente soprattutto nelle ultime settimane, segnalano un dato (comune a tutte le ricerche): i più giovani, il Sud e in generale chi sta vivendo le pesanti ripercussioni di questa profonda e lunga crisi economica, si è schierato per il No.

Dall'altra parte ci sono gli anziani e chi – nonostante tutto – galleggia sul crack finanziario senza troppi problemi. Sono forse meglio informati? Per niente.

La percentuale di chi conosce le ragioni della consultazione restano le stesse, tra chi si è già schierato per il Sì o per il No. I primi, magari, hanno colto nella scelta di eliminare – di fatto – il vecchio Senato e la conseguente riduzione del numero dei Parlamentari, una ragione per approvare il quesito referendario. Ma non vanno – molti, non tutti - oltre questa generica argomentazione (se si parla di articolo V, poi, casca il mondo...)

Il No – per chi non è informato – è spesso un no e basta. Un no a Renzi. Un no al jobs act. Un no a un governo che ha deluso quanti speravano in un evidente cambio di passo.

Un no alle politiche che hanno dimenticato i giovani a vantaggio di un bacino elettorale più corposo: quello dei pensionati o di chi non vede la pensione come un miraggio, ma come un obiettivo ormai prossimo (per l'età o per il tipo di lavoro che evidentemente ritiene sicuro).

Anche i sondaggi televisivi sono illuminanti. Le domande sul referendum raccolgono sempre risposte come minimo incerte.

Ne citiamo una, tra le tante: «Signora ha deciso cosa votare?» «Certo – lasciando intendere che era per il No -». «Sa cos'è il bicameralismo perfetto?» «Bi...che? Se lo sono inventati, n'altra invenzione, le pensano tutte...»

E non siamo nella schiera di chi – con presunzione – legge nella inconsapevolezza degli italiani il riflesso di quell'analfabetismo funzionale che studi internazionali ci attribuiscono (nel nostro Paese – secondo queste analisi – il 60 per cento delle persone non capisce o non sa spiegare un testo scritto).

Il punto è che molti non vedono un nesso tra la propria esistenza e queste riforme. Ma non solo. Sono sicuri che, vinca il Sì o il No, nella realtà poco cambia. C'è sfiducia nei partiti e nella politica in generale. E non è solo una questione italiana.

Far finta di non vedere questa distanza, chiudersi nell'ambito ristretto di chi – per interesse, appartenenza, forma mentis e solo in parte cultura -, ha scandagliato nei dettagli i motivi del Sì o del No, ignorando che c'è un mondo che guarda altrove, è pura miopia.

I partiti lo fanno da decenni. Anzi nuotano allegri in questa distanza, forse inconsapevoli di essere diventati sempre meno rappresentativi.

Vi sembriamo cinici? Forse sì. E non è una posizione semplice. Non vogliamo chiudere gli occhi e immaginare un Paese che non c'è. Che magari discute a pranzo e a cena su cosa votare al referendum.

E' come per il l'emergenza immigrati. Si discute tanto di chi arriva (ma nella realtà non si adotta nessuna strategia credibile, di lunga durata, efficace e razionale di accoglienza), ma si dimentica che il numero di italiani che parte è superiore a quello di stranieri che arrivano. E i sondaggi tra i più giovani rivelano proprio questa tendenza: molti non vedono nessuna prospettiva nel nostro Paese.

Hanno solo una ambizione: studiare e lavorare all'estero. Per loro, le ragioni del referendum contano poco...

E magari se votano No, è per dire No a questo Paese. No a chi – comunque – rappresenta le istituzioni e, colpevole o meno, è la causa simbolica del malessere, del disagio, dell'insofferenza e del pessimismo che li costringerà a cercarsi la vita altrove.