Denunciati, infangati e assolti. Il circo del giustizialismo

Dopo l'assoluzione di De Luca, quella di Marino: costretto alle dimissioni e dichiarato innocente.

Ora chi paga? Chi chiede scusa? I danni di un sistema malato. Quasi da avanspettacolo.

di Luciano Trapanese

Ci risiamo: denunciato, indagato, massacrato, processato e assolto. Troppi casi, troppe vite distrutte, carriere politiche (e non solo), mandate al macero. Per niente. O meglio: per un sospetto e le inevitabili accuse. Infamanti.

Dopo De Luca è accaduto anche Ignazio Marino, l'ex sindaco di Roma. Costretto alle dimissioni in piena bufera “mafia capitale”, per aver utilizzato in modo improprio (cene personali), la carta di credito dell'amministrazione. Sotto accusa per truffa e peculato. Con una richiesta di condanna a tre anni di reclusione. Assolto perché il fatto non sussiste.

Già, e ora? Chi ripaga il danno fatto? Chi risarcisce dalle umiliazioni, dalla gogna, dagli articoli giustizialisti pubblicati a iosa, dalle irridenti dichiarazioni degli avversari politici? Nessuno, naturalmente. Si ricomincia. Come nulla fosse. Altro giro, altra corsa.

Nel frattempo Marino non ha retto la pressione. E soprattutto non ha retto la forza d'urto del suo stesso partito – il Pd – che lo ha rottamato. A De Luca, in fondo, è andata molto meglio. Lui ha pronunciato un destrorso e irridente «me ne frego». Ed è andato avanti. Anche in questo caso – oltre ai giornali che del giustizialismo a ogni costo hanno fatto la loro linea editoriale -, è stato impallinato, o almeno ci hanno provato, da esponenti di primo piano del suo stesso partito (sempre il Pd).

Deve essere una sindrome tafazziana. Un allegro facciamoci male.

O più semplicemente – come sempre accade da Mani pulite in poi -, l'avversario politico deve essere eliminato per via giudiziaria. Se non si può fare nulla seguendo le strade consuete (convincendo gli elettori e aggiudicandosi le elezioni), arriva la scorciatoia: denuncia, indagine, accusa e gogna.

Un sistema malato. Senza dubbio. Anche perché le assoluzioni si stanno moltiplicando. Assoluzioni, appunto. Non prescrizioni. Cioè, a fronte di magistrati convinti di avere tutte le carte in mano per punire un politico, un imprenditore o un cittadino qualsiasi, c'è qualche giudice che quelle carte le legge in modo imparziale – senza cioè il molto evitabile preconcetto che accompagna spesso chi rappresenta l'accusa -, e in pochi minuti di camera di consiglio (15 per Marino), assolve l'imputato con formula piena.

Per De Luca non c'è stato neppure bisogno della camera di consiglio. E' stato il piemme a chiedere l'assoluzione. Gli errori, evidentemente, erano stati commessi dai magistrati che l'avevano preceduto. Quelli che l'inchiesta l'avevano avviata e condotta.

Purtroppo è inevitabile pensar male. E cioè che la ribalta mediatica di alcuni processi renda qualche magistrato un po' – come dire – prevenuto. Innamorato della sua bella inchiestona.

Purtroppo capita spesso. E quando nell'ingranaggio finisce un comune cittadino o l'amministratore di un piccolo comune, beh, nessuno ne parla. Neppure noi, lo ammettiamo.

In fondo, l'assoluzione non è una notizia. Dicevano una volta i vecchi cronisti. Ci spiace dirlo, si sbagliavano. Una assoluzione è più notizia di una condanna. Per un motivo semplice. Chi è finito sotto inchiesta è già stato condannato dal circo mediatico, e magari ha anche trascorso giorni o mesi in carcere. Occuparsi e bene dell'assoluzione è il minimo risarcimento.

Tanto le scuse non arriveranno. Non sono arrivate a De Luca. Non saranno presentate a Marino. Nè dai politici, né da chi ha li ha denunciati. E neppure dalla giustizia e dai giornali giustizialisti.