di Luciano Trapanese
Il futuro è già qui, ma non ce ne siamo accorti. Il lavoro c'è, ma pochi sanno dove e come trovarlo. La rivoluzione digitale ha spiazzato tutto e tutti. A partire dalla politica: il jobs act è uno strumento analogico, adatto a un mondo che non c'è più.
Il ritornello di questi anni è uno solo: adeguarci al cambiamento. Ma invertiamo la rotta di continuo. E all'orizzonte non si vede terra ferma, ma un mare infinito.
Navighiamo senza bussola, ma l'approdo è evidente. Il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, ha parlato di società 4.0. Una società digitale, che presuppone una vera rivoluzione. Industriale, concettuale, culturale, sociale. Quasi un sistematico rovesciamento di antiche consuetudini, difficile da realizzare senza la necessaria consapevolezza. Una rivoluzione più profonda, totale e globale di quella industriale.
Presuppone una predisposizione al cambiamento che in parte ancora non c'è.
Ne abbiamo discusso ieri nel corso della trasmissione Parliamone un po' (OttoChannel Canale 696 del digitale terrestre), insieme ad Andrea Giorgio – presidente del gruppo Piccola industria di Confindustria Avellino -, Edoardo Gisolfi – presidente del gruppo Servizi innovativi e tecnologici degli industriali di Salerno -, e Rosita Galdiero, segretario provinciale della Cgil Benevento.
La rivoluzione digitale può rappresentare una opportunità unica per il Mezzogiorno. Sarà possibile recuperare con maggiore celerità posizioni e competitività. E non solo sul mercato nazionale.
Ma serve molto. Soprattutto la consapevolezza. E la velocità. Proprio per questo il reticolo di norme e burocrazia che circonda qualsiasi tipo di progetto rischia di essere un freno letale. Nell'innovazione non si può procedere con tempi pachidermici (i soliti). Il rischio è evidente: tra una buona idea e la sua pratica realizzazione trascorrerebbe un tempo così lungo da trasformare quella buona idea in un vecchio arnese.
Ma se parliamo di società 4.0, non possiamo tenere fuori la scuola. Oggi è totalmente inadeguata per questa evoluzione. Non bastano certo le lavagne elettroniche (che non tutti i docenti sanno usare), e i tablet in qualche istituto. La scuola dovrebbe preparare a un mondo del lavoro del tutto nuovo, con criteri di istruzione necessariamente diversi da quelli attuali (basterebbe verificare quello che accade nelle scuole scandinave...). Discorso analogo per le università e la formazione.
C'è naturalmente chi non subisce l'innovazione ma già la cavalca. E non sono pochi, naturalmente. Un piccolo esempio (banale, ma proprio per questo significativo): un giovane laureato in matematica non è riuscito a rientrare nelle graduatorie per l'insegnamento. Fuori dalla scuola, quindi. Non si è dato per vinto. Ha aperto un canale Youtube, insegna matematica in rete: migliaia di iscritti. Visibilità e guadagni.
La stessa agricoltura può diventare 4.0 (molti esempi positivi già ci sono), di sicuro nella commercializzazione dei prodotti. Così come tutto l'agroalimentare. Gli esempi sono tanti. Ma bisogna fare in fretta, con le infrastrutture necessarie (banda ultralarga), le competenze, la versatilità. E – come dice la canzone – con uno sguardo dritto e aperto nel futuro.